Un progetto finanziato dall’Euregio nei prossimi tre anni investigherà il meccanismo di trasmissione e crescita degli agenti patogeni responsabili della malattia delle piante da frutto e del fungo che causa l’aspergillosi.

Una ricerca che getta le radici in ambito agrario ma si propaga verso i territori della ricerca medica. Il progetto Siderophore mediated iron uptake in Erwinia Amylovora and Aspergillus fumigatus. Towards new strategies in plant and human health nasce da un’intuizione di Stefano Benini, biologo strutturale e ricercatore della Facoltà di Scienze e Tecnologie, che, per primo, ha capito che quanto appreso e studiato in ambito fitosanitario – il funzionamento della malattia delle piante da frutto chiamata colpo di fuoco – poteva forse essere applicato anche allo studio di malattie che colpiscono l’uomo.

Nei prossimi tre anni – tanto durerà il finanziamento al progetto da parte dell’Euregio – Benini, assieme ai colleghi di Innsbruck e Trento, cercherà di capire se e come i meccanismi che regolano la vita e la trasmissione del batterio Erwinia amylovora, l’agente patogeno che provoca il colpo di fuoco alle piante del melo e del pero, possano essere sfruttati per impedire la proliferazione del fungo che causa l’aspergillosi. Un’infezione che può essere letale, soprattutto nelle persone immunodepresse.

L’Erwinia amylovora è un batterio che negli anni ‘80 dal Nord America, dove si era diffuso secoli prima, è ritornato in Europa. In Italia la sua comparsa si fa risalire al 1994 quando i frutticoltori ne hanno visto i primi devastanti effetti sui loro alberi da frutto. Il batterio ora è la “bestia nera” dei produttori di mele perché estremamente dannoso: la sua azione consiste nel blocco dell’afflusso di linfa alle varie parti della pianta che viene lentamente portata alla morte con foglie che sembrano bruciate. Studiare il meccanismo di sopravvivenza dell’Erwinia potrebbe essere la chiave di volta per capire come impedirne il propagarsi. L’approfondimento delle conoscenze sul genoma del batterio, sui fattori che ne causano la patogenicità, lo ha portato a capire quali proteine sono necessarie per sviluppare la malattia. Successivamente la domanda che si è posto era se fosse possibile bloccare selettivamente la proliferazione del batterio tramite alcune molecole che ne inibiscano la trasmissione.

Da sinistra: Stefano Benini e i suoi collaboratori, Ivan Polsinelli e Rosanna Caliandro.

La soluzione potrebbe essere l’utilizzo del sideroforo dell’Erwinia. “I patogeni delle piante e degli esseri umani contengono molecole chiamate siderofori, che trasportano il ferro necessario a garantirne la sopravvivenza”, spiega Benini, “noi abbiamo ricreato il percorso metabolico, di biosintesi, utilizzato dal batterio per produrre questa molecola per vedere com’è fatta e come si comporta”. Quello che vogliamo fare in pratica è produrre una molecola simile a quella naturale ma in grado di bloccare l’assorbimento del ferro necessario alla vita dei batteri. “È molto simile a un cavallo di Troia, che sembra innocuo ma che racchiude una minaccia letale per il batterio stesso”, aggiunge Benini.

Consultando la letteratura medica, il ricercatore di unibz si è accorto che l’Aspergillus fumigatus, il fungo alla radice dell’aspergillosi, possiede un sideroforo la cui struttura è simile a quello dell’Erwinia.
Benini ha contattato la Medical University di Innsbruck e coinvolto nel progetto il professor Hubertus Haas, un esperto dello studio di Aspergillus fumigatus, il patogeno che causa l’aspergillosi, e il professor Sheref Mansy dell’Università di Trento, esperto in Biologia sintetica, ovvero quella branca della biologia che ricostruisce cicli metabolici in vitro per produrre composti di interesse. L’idea alla base del suo progetto quindi è non solo lo studio degli enzimi che producono tali molecole ma anche la produzione con tecniche di biologia sintetica di tali composti. “Questi possono essere usati sia per la diagnostica, come nel caso di A. fumigatus, che per curare problemi di sovraccarico di ferro nei pazienti soggetti a trasfusioni di sangue”, chiarisce il ricercatore.

Il progetto è solo all’inizio. Nei prossimi anni, l’unità di Innsbruck si occuperà di sviluppare le molecole (i siderofori modificati) per uso diagnostico in collaborazione con Clemens Decristoforo (Medical University di Innsbruck), esperto in medicina nucleare, mentre la Libera Università di Bolzano si occuperà della caratterizzazione funzionale e strutturale degli enzimi necessari per la produzione dei siderofori e, tramite tecniche di ingegneria genetica, modificare tali enzimi e le molecole finali prodotte.

Infine, sul versante trentino, il gruppo di ricerca del professor Mansy si occuperà, dapprima in vitro, della ricostruzione dell’intero percorso metabolico, assemblando nel giusto ordine gli enzimi prodotti da unibz, poi inserendone il DNA per la loro produzione in ceppi batterici adeguati e ottenere quindi quantità più elevate di prodotto finale che potrebbero quindi avere un interesse di biotecnologia applicata e commerciale.

 

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