Sembra un fotomontaggio ma è la realtà. Venezia assediata da mastodontiche navi da crociera illustra bene gli effetti negativi di un turismo che non è attento alla sostenibilità sociale e ambientale.
Fonte: venedigprinzip.de

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Cosa cambia in un luogo, nel suo ambiente e nei suoi abitanti, quando arrivano i turisti? E cosa avviene quando i visitatori sono troppi, come a Venezia? Il turismo, in un’epoca segnata dalla crisi economica e finanziaria, è una risorsa sempre più importante per l’economia non solo a livello regionale ma in tutto il mondo. A patto che venga declinata in maniera sostenibile.

“Venezia che muore. Venezia appoggiata sul mare. La dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia la vende ai turisti”. Con la sua caratteristica malinconia, Francesco Guccini, più di trent’anni fa, cantava il destino di una città che, già allora, andava scomparendo. Oggi le cose non sono migliorate. Venezia continua a morire lentamente perché i suoi abitanti se ne stanno andando per sempre e, con essi, svanisce anche la memoria di quello che la città lagunare è stata per secoli. La causa principale? La sua bellezza unica al mondo. Il suo incanto si è trasformato, a causa del turismo di massa, nella sua maledizione. La città è sempre più una riproduzione di sé stessa, un po’ come quella eretta nel resort The Venetian a Las Vegas, dove tutti giocano a creare l’esperienza di un luogo reale che quasi non esiste più. Da alcuni dati sul turismo a Venezia, sulla sua “disneyzzazione”, occorre partire per affrontare un discorso sull’effetto del turismo sulla vita delle comunità locali.
Ogni anno, sono 20 milioni i turisti che visitano la città: una media di 60.000 al giorno. Numeri poderosi, eccessivi per qualsiasi centro urbano di dimensioni paragonabili, figurarsi per un ecosistema delicato e fragile come quello di Venezia. Una situazione che ha dell’incredibile e che ha spinto un altoatesino, il regista Andreas Pichler a girare un documentario intitolato Das Venedig Prinzip: una carrellata di volti e di storie di veneziani che il turismo di massa sospinge sempre più ai margini del loro habitat. 20 anni fa nella città abitavano ancora 125.000 persone. Oggi, ne sono rimaste 58.000 - come ai tempi della Grande Peste del 1438 - e ogni anno, circa 2000 mancano all’appello. Secondo uno studio citato da Pichler nel suo film, nel 2030 a Venezia non abiterà più alcun veneziano. “Venezia per me rappresenta un simbolo”, confessa Pichler, “essendo altoatesino, provengo da una regione alpina tra le più visitate dai turisti. Ho potuto vedere con i miei occhi come questo flusso, nel giro di pochi anni, ha trasformato radicalmente interi paesi. La stessa cosa vale per molte città come, ad esempio, Firenze, Innsbruck o Heidelberg. Dove fino a poco tempo fa, la gente conduceva un’esistenza normale, adesso regnano le infrastrutture turistiche al servizio del turismo di massa e questa problematica, a Venezia, tutto ciò trova la sua più spettacolare e drammatica espressione”.

L’allarme lanciato da Pichler con il suo documentario merita di essere ascoltato. L’arrivo di grandi numeri di turisti produce sempre un cambiamento nei territori. L’arrivo del turismo provoca, tra le altre cose, un aumento del costo della vita e può avere un forte impatto ambientale ma non ha solo effetti negativi. Grazie al denaro speso dai visitatori, nascono nuovi posti di lavoro - sebbene spesso con remunerazioni medio-basse -, vengono erette nuove infrastrutture e offerti nuovi servizi. Infine la proposta di attività di tempo libero e culturali ne risente positivamente.

Il turismo produce mutamenti profondi sulla pelle e nella carne delle società coinvolte. Abitudini e tradizioni cambiano ma vale comunque la pena investire nel turismo per diverse ragioni: per diversificare le attività economiche, per rendere più vivibili alcune zone e per ridare prospettive a città che hanno subito forti processi di deindustrializzazione. Pensiamo, ad esempio, a una città come Detroit, la Motor City che, dopo il fallimento, ha messo in atto strategie postmoderne per far rivivere la città e renderla attraente per i visitatori.

In un’epoca in cui l’economia del vecchio continente è ancora scossa dalla crisi, le potenzialità del turismo possono rivelarsi preziose. Il turismo è un pilastro importante dell’economia e l’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) stima che, da qui al 2030, il turismo continuerà a prosperare: 3,3% su base annua, 43 milioni di visitatori in più ogni anno arriveranno a destinazione. Tutto dipende, come sempre, dagli strumenti utilizzati. Anche il turismo deve essere sostenibile. Lo raccomandano l’OMT e l’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) e ne è convinto anche Harald Pechlaner, direttore dell’Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio dell’EURAC e professore di Scienze del Turismo all’Università Cattolica di Eichstätt-Ingolstadt in Germania. Uno di questi strumenti può essere il coinvolgimento degli ospiti nella vita delle comunità. “Oggi il turismo, almeno in Alto Adige e in Italia, sta mutando”, osserva, “ci sono ancora i grandi resort ma sempre più persone vogliono capire dove sono arrivati e come vivono i locali. Si vuole imparare qualcosa, oltre a svagarsi”. Coinvolgere la popolazione e far sì che il turista sia accolto non solo come ospite ma come persona, è una chiave per aprire nuove prospettive al turismo e integrarlo nella realtà locale, un po’ sul modello di quanto da anni fa il turismo equo e solidale. Pechlaner cita anche esperienze come l’albergo diffuso che stanno rivitalizzando tanti piccoli borghi in Italia. Anche in Alto Adige si stanno sperimentando nuove forme di imprenditoria turistica. In questo caso è l’unione, o meglio la comunità che fa la forza e può rendere economicamente sostenibili anche le piccole imprese turistiche familiari. “Ci sono piccole pensioni che si stanno organizzando in cooperative per gestire insieme l’attività di back office”, aggiunge Pechlaner. Ritornando però alla qualità di vita dei locali alle prese con l’arrivo di un elemento comunque estraneo come il turista, la chiave per l’economista altoatesino, rimane il rispetto della carrying capacity, il limite dell’ospitalità, ovvero quanti ospiti può sopportare e accogliere un territorio. Ma prima di farlo è importante capire quale significato si dà al termine “ospitalità”, anche in relazione a flussi come quelli dei migranti e dei profughi. Una terra che non dà un’opportunità a chi scappa da una guerra può essere veramente ospitale con i turisti?
Per Pechlaner questa è la vera questione dirimente, non solamente per il futuro economico delle regioni turistiche, ma anche dell’Unione Europa: “Prendendo in prestito le parole e il pensiero del filosofo Massimo Cacciari, sono convinto che l’Unione Europea sopravvivrà solo se saprà accordarsi e rifondarsi su un’idea comune di accoglienza e ospitalità”.

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