Nello studio, svolto dal gruppo di ricerca in Dinamica dei fluidi e pubblicato sulla rivista interdisciplinare “Science of the Total Environment”, è descritta la metodologia che potrebbe permettere ai pianificatori del territorio e alle autorità di bacino di individuare ed indicare alla popolazione le vie più sicure di accesso e di uscita dai corsi d’acqua sui cui sono stati costruiti impianti idroelettrici.

Nelle regioni alpine i corsi d’acqua sono utilizzati, oltre che per la produzione di energia idroelettrica, anche per scopi ricreativi, in particolare da pescatori e bagnanti. Queste attività però, nei tratti a valle delle centrali idroelettriche, non sono prive di rischi. Esiste infatti la possibilità che la profondità e la velocità dell’acqua aumentino improvvisamente e sorprendano chi si trova nel letto del fiume. Per evitare situazioni di pericolo per la popolazione, in prossimità di torrenti e fiumi sono già posizionati cartelli che segnalano la possibilità di ondate di piena improvvise.

Le cronache degli ultimi anni riportano numerose notizie di persone rimaste intrappolate e tratte in salvo dall’intervento dei vigili del fuoco (alcuni esempi in diversi articoli 1, 2,  3, 4). Queste persone avrebbero potuto mettersi in salvo autonomamente, se avessero conosciuto un percorso da seguire o le zone in cui non potevano accedere? Inoltre: come possono i pompieri raggiungere le persone in pericolo il più velocemente possibile, senza mettere a repentaglio la loro stessa incolumità? Sono le domande che hanno guidato gli autori del paper “A procedure for human safety assessment during hydropeaking events”: il ricercatore Giuseppe Pisaturo, i docenti Maurizio Righetti e Michele Larcher, il dottorando Andrea Menapace, oltre a Georg Premstaller, ingegnere di Alperia e Claudio Castellana laureato dell’Università di Trento.

Giuseppe Pisaturo, coautore dello studio, è ricercatore alla Facoltà di Scienze e Tecnologie.

Finora esistono molti studi in letteratura sull’effetto delle centrali idroelettriche sull’ecosistema fluviale. Nulla però era stato scritto sulla questione della sicurezza dei fiumi in cui la portata varia improvvisamente, a seguito dell’accensione delle centrali idroelettriche per soddisfare la richiesta di energia elettrica. “È difficile riuscire a predire quando il livello del fiume e la velocità dell’acqua aumenteranno perché l’apertura degli impianti risponde alla domanda di energia idroelettrica”, spiega Giuseppe Pisaturo, primo firmatario dello studio, “la nostra ricerca però ha messo a punto un metodo per cercare di capire quali sono le zone del corso d’acqua più a rischio per la popolazione e da dove è consigliabile uscire o, per chi deve salvare vite umane, come i vigili del fuoco, entrare nel letto del fiume”.

Spesso, anche in corsi d’acqua minori, si verificano variazioni artificiali della portata anche molto significative che, nel giro di pochi minuti, può arrivare ad essere venti volte maggiore rispetto a quella misurata in assenza di produzione idroelettrica. Ciò mette a repentaglio la sicurezza di chi, incurante del potenziale pericolo, soprattutto nelle giornate più calde, cerca refrigerio nelle acque dei torrenti. Per svolgere la loro ricerca, i ricercatori unibz hanno iniziato con l’analisi della letteratura sulla stabilità del corpo umano immerso nella corrente di un fiume. Secondo gli studi esistenti, la persona, investita dalla corrente, può essere ribaltata con conseguente perdita di equilibrio, o trascinata dalla corrente. Il differente risultato è dovuto sia alla velocità della corrente che del “tirante” ovvero della profondità dell’acqua. Altri parametri influenzano il risultato per esempio il peso e altezza dell’individuo ma anche fattori psicologici.

Il gruppo di ricerca ha quindi cercato di capire quali fossero le velocità ed i tiranti critici, che impediscono cioè alla persona di muoversi in sicurezza verso le sponde. “Nella seconda parte dello studio abbiamo effettuato una simulazione numerica di vari tratti di fiume, stabilendone il valore del tirante e la velocità della corrente ed attribuendo alle varie celle una scala di pericolosità”, aggiunge Pisaturo.

Utilizzando un algoritmo chiamato di Dijkstra, i ricercatori hanno poi calcolato i percorsi più brevi di uscita dall’alveo, intesi però non nel senso della distanza più breve ma in relazione alla sicurezza e hanno realizzato una mappa con zone graduate: dal rosso, più critiche, al verde, relativamente più sicure.
La metodologia sviluppata dal gruppo di ingegneri di unibz servirà per creare zone riservate dove i bagnanti e i pescatori potranno sostare senza correre gravi rischi o almeno disponendo delle informazioni fondamentali per potersi trarre in salvo quando arriva l’onda di piena.

“Questi sono i primi risultati”, conclude Pisaturo, “il prossimo passo, sarà differenziare il percorso a seconda della velocità di variazione della portata e coinvolgere anche i vigili del fuoco per comprendere con maggiore precisione il comportamento più saggio da tenere per uscire dall’alveo, sulla base delle esperienze che ci riferiranno”.

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