I muri che stanno sorgendo in Europa per limitare l’arrivo dei profughi stanno tradendo il sogno di un continente dei diritti umani. Matteo Moretti e Monika Weissensteiner ci spiegano come il visual journalism - con il progetto europadreaming.eu - ci può dare una mano a ricollocare i fatti nella giusta prospettiva.

L’appuntamento con Matteo Moretti e Monika Weissensteiner è sui gradini di piazza Università, a Bolzano. È una bella giornata di tarda primavera e fa caldo. Gli studenti si preparano all’ora dell’aperitivo e l’atmosfera è molto rilassata. Le notizie che giungono dal confine del Brennero, a meno di un centinaio di chilometri da qui, invece sembrano farci tornare indietro nel tempo, a prima che il trattato di Schengen eliminasse i controlli alle frontiere interne dell’UE.

La polizia austriaca è all’opera da settimane. Sta erigendo i centri di identificazione che, assieme alle nuove recinzioni, dovrebbero servire – nelle intenzioni del ministro dell’interno Wolfgang Sobotka – a fermare o almeno a contenere l’afflusso di migranti che vogliono raggiungere i Paesi del Nord Europa. Dopo la chiusura della rotta balcanica e di quella nell’Europa dell’est, nell’ultimo anno, i migranti si sono spostati sull’asse Verona-Monaco. Questo fenomeno, ingigantito dai racconti mediatici e, sfruttato a livello politico, ha reso più difficili i rapporti tra Italia e Austria e ha contribuito a fare in modo che il confine abolito stia tornando, a livello simbolico ma anche nella realtà.

Un oggetto che ti ha protetto durante il viaggio? “I love you” – il tatuaggio dedicato a mia madre, Micael, soldato.

Monika Weissensteiner, collaboratrice della Fondazione Alex Langer, antropologa e consulente del team di europadreaming. eu, il confine del Brennero lo conosce come le sue tasche. Ormai ha perso il conto delle volte che è salita su un treno e lo ha attraversato o di quando ci è andata per monitorare la situazione dei migranti, per parlare con loro, con i poliziotti in servizio e mediare nei rapporti tra gli agenti – italiani, austriaci e tedeschi – e i profughi in viaggio.

Ci è stata anche il giorno prima del nostro incontro. Racconta di una diminuzione visibile dei flussi. “Non passa quasi più nessuno, a volte nemmeno chi avrebbe i documenti in regola”, precisa. “Ciò non significa che però i migranti non riescano a trovare altre strade”. All’avvio del progetto europadreaming.eu Monika è stata contattata da Matteo Moretti e dal suo team per la sua profonda conoscenza delle politiche migratorie europee - di cui si occupa da quasi un decennio – e perché impegnata con l’associazione Binario 1 che, con i suoi volontari, cerca di portare un po’ di conforto ai migranti in transito dalla stazione dei treni di Bolzano: singole persone e famiglie con bambini, spesso allo stremo delle forze dopo viaggi di molti giorni in situazioni estreme. “Si trattava soprattutto di eritrei, siriani, afgani e iracheni”, spiega.

“Non stiamo assistendo a un’invasione.”

“L’intenzione iniziale era quella di raccontare le storie di queste persone”, aggiunge Moretti, “volevamo far capire che - come nel precedente progetto La Repubblica Popolare di Bolzano, sulla comunità cinese del capoluogo altoatesino - non stiamo assistendo a un’”invasione”, una parola che evoca sempre sentimenti negativi, ma a un arrivo di esseri umani in fuga da guerra e brutali dittature”. Poi, visti gli equilibri europei che cominciavano a vacillare, la prospettiva si è allargata.

“Abbiamo quindi deciso di aprire una riflessione sul sogno europeo, erroneamente assimilato al trattato di Schengen, che già Alexander Langer, nel 1995, definiva un accordo tra polizie e non il migliore modello di integrazione tra le nazioni del continente”, afferma il docente. Moretti è convinto che i media che parlano in continuazione di “emergenza” contribuiscono a creare una narrazione ansiogena degli avvenimenti. In realtà i numeri disegnano una situazione seria, forse, ma non impossibile da affrontare per un continente ricco e dotati di mezzi per fare fronte all’arrivo massiccio di persone.

“Non esistono purtroppo dati precisi sulla presenza di richiedenti asilo in Europa perché le persone vengono ricontate, se varcano lo stesso confine una seconda volta. Possiamo stimare, utilizzando le informazioni di Frontex e altre istituzioni, che all’anno, entrino circa un milione e mezzo di persone”, sottolineano Weissensteiner e Moretti. Purtroppo sui dati si giocano molti degli equivoci che traggono in inganno l’opinione pubblica e, allora, da qui bisogna ripartire per ristabilire un po’ di verità. Cronaca, storia, racconto e soprattutto dati. Sono gli ingredienti di cui si è servito il team che ha usato gli strumenti del visual journalism per catturare sempre più lettori e utenti di internet. Si tratta di un’innovativa modalità di confezionare inchieste o approfondimenti, che prevede un lavoro di squadra tra giornalisti veri e propri impegnati nell’analisi dei dati – data journalism - e designer, coinvolti sul fronte della narrazione grafica, il visual storytelling. Dall’unione delle diverse competenze nasce la forza di un originale racconto dei fatti del mondo che mescola numeri, testi e rappresentazioni interattive da condividere e far circolare sui social network.

È forse questo il giornalismo del nuovo millennio e lo dimostra il fatto che grandi testate come per esempio The Guardian, in Inghilterra, o i maggior i quotidiani italiani – hanno puntato su questo genere per attirare nuovi lettori. “Le informazioni a volte sono troppo frammentate. Spesso non riusciamo a contestualizzare le notizie, anche per l’oggettiva difficoltà di alcune tematiche. Spiegarle in maniera accurata comporterebbe un investimento di soldi e tempo che pochi si possono permettere”, spiega Matteo Moretti.“Le visualizzazioni soccorrono i professionisti dei media, permettendo di dare maggiore chiarezza e profondità alle informazioni”.

Rawa, 17 anni, ci mostra il suo crocifisso. Vuole arrivare in Svezia.
Solomon, 35 anni, è partito da solo dall’Eritrea. Il suo oggetto è una piccola bibbia.

Il lavoro di ricerca del team di europadreaming.eu è durato oltre un anno, passato a raccogliere le testimonianze dei profughi in procinto di passare il Brennero in treno. Ora il progetto sta circolando su diverse piattaforme: in Canada, in Spagna, in Turchia, negli Stati Uniti. “Europa, il sogno infranto”, “1995-2015 Cosa è cambiato in 20 anni?”, “L’Europa tra parametri economici e diritti umani”: sono alcuni dei titoli delle sezioni in cui è stato suddiviso il racconto. Ognuna di queste diverse sezioni approfondisce una sfaccettatura della complessa situazione europea. Per mezzo di interviste, infografiche animate, video, fotografie e testi sulle migrazioni - quelle di oggi e quelle del passato - la ricerca ha provato a mostrare cosa è rimasto del “sogno europeo” dopo oltre vent’anni di cosiddetta “emergenza immigrazione”. Il messaggio che esce dalla narrazione non è confortante. Sotto i nostri occhi, nella realtà ma anche sullo schermo, assistiamo al disfacimento del sogno di un’Europa dei diritti sotto il peso delle migrazioni, unite all’assenza di una politica unitaria di accoglienza da parte dell’Unione europea. Questa potrebbe essere una soluzione, lasciano capire i due ricercatori. Vorrebbe dire lasciare da parte gli egoismo nazionali, cominciare ad agire come una vera unione politica in cui gli interessi delle parti coincidono con quelle del tutto. In questa difficoltà, per ora, sta la grande distanza tra il sogno europeo e la realtà.

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