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Il prodotto locale sembra convincere più del biologico e dell’equo e solidale. Risulta da una indagine condotta a Bolzano da Federica Viganò e Marta Disegna. Un’abitudine di consumo che di fatto sembra essere coerente con il campione scelto, ma che solleva qualche difficoltà interpretativa se la si vuole ricondurre a chiari criteri di scelta. Così la pensa una delle autrici, Federica Viganò, che insegna marketing agli studenti di Scienze della comunicazione di unibz.

Biologico, no grazie. Oppure sì, forse, dipende. Cosa spinga un consumatore a scegliere un prodotto alimentare suscita – oggi più che in passato – la curiosità degli studiosi. È l’etichetta parlante, che così come il grillo spiffera ogni aspetto legato alla filiera del prodotto? Oppure è l’aspetto a guidare la mano del consumatore negli scaffali? O la pubblicità? Niente di tutto questo secondo l’indagine di Viganò e Disegna sui consumatori Koncoop di Bolzano. Nel carrello finiscono prodotti a filiera corta, anzi cortissima. Le mele della val Venosta, gli asparagi di Terlano, il burro di Vipiteno: in altre parole, i prodotti locali.

L’indagine prende spunto dall’idea che i consumatori possano spendere di più per prodotti che incorporano valori di tipo sociale, ambientale o etico, oppure per i prodotti locali a filiera corta. “La preferenza espressa per i prodotti locali – si legge nel report – è stata numericamente evidente, anche se non spiegata nel dettaglio dal punto di vista dei criteri di scelta”. Sostenere l’economia locale sembra comunque essere la motivazione più ricorrente e poi un sentimentale attaccamento alla propria terra, ai sapori conosciuti, alle tradizioni.

Certo, locale – dice Viganò – non sempre vuol dire biologico. Tuttavia la scelta del prodotto a filiera corta prevale “al di là di questioni legate all’informazione completa ed esaustiva sul prodotto e al di là di una richiesta specifica che il prodotto locale sia biologico, rispettoso di criteri sociali o ambientali nel processo produttivo e nella scelta delle materie prime”. In altre parole, il consumatore Koncoop compra locale a scatola chiusa (o quasi), mentre nel caso di prodotti bio o fair trade esige informazioni chiare e dettagliate in etichetta. Due pesi e due misure, si direbbe. Locale – conclude Viganò – “emerge come indicazione economica significativa, che acquista spazi di mercato rispetto al prodotto glocal o a quello promosso da campagne pubblicitarie costose attraverso canali ad alto impatto comunicativo come la TV”.

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