Cosa sono i laghi termocarsici e perché il riscaldamento del suolo dovrebbe preoccuparci anche più di quello dell’aria

Cosa sono i laghi termocarsici? Perché è fondamentale tenere sotto controllo il permafrost? E come si monitora la temperatura dello strato superiore del suolo (GST – Ground Surface Temperature)? Le risposte arrivano dal geografo Raul Serban, che ci accompagna in un viaggio nei luoghi dove fa ricerca: dall’altopiano del Tibet, nella provincia cinese del Qinghai, fino alle Alpi. Spoiler: in val di Mazia si sta mettendo a punto un modello di previsione globale.

Il villaggio di Ye’niugou è alle spalle da almeno 25 minuti quando il pickup accosta lungo la Highway G214. Raul scende, si stringe nella giacca a vento e cammina lentamente sull’erba che scrocchia sotto gli scarponcini. Già dopo pochi passi il respiro è pesante: oramai è qualche giorno che Raul si trova sull’altopiano del Tibet, nella provincia cinese del Qinghai, ma l’altitudine ancora lo affatica. Davanti a lui il passo principale dei monti Bayan Har – dove si trova una delle sorgenti del fiume Giallo – supera i 4.800 m e più in là una cima, vicina per gli occhi ma faticosissima da raggiungere a piedi, raggiunge i 5.085 m.
Il paesaggio è incantevole: distese verdi a perdita d’occhio, punteggiate da laghetti luccicanti e gelidi. Ma Raul gli occhi li tiene a terra perché lui è un ricercatore che si occupa di suolo e questa non è una escursione turistica: sta andando a scaricare dati da uno dei 39 siti sparsi in 150 chilometri quadrati dove sono stati installati, a una profondità di circa cinque centimetri, dei sensori per misurare la temperatura del suolo.

“Mi piace camminare qui, allontanarmi dall’autostrada dove passano i camion e ascoltare solo i suoni della natura”, racconta Raul Serban, un dottorato in geomorfologia periglaciale alla West University di Timisoara e una borsa di ricerca attiva in Eurac Research. “I piccoli specchi d’acqua disseminati nei dintorni si chiamano laghi termocarsici (in inglese thermokast lakes) e sono in effetti magnifici, ma per me sono anche allarmanti. Infatti si formano quando il permafrost si scongela e questo significa che il riscaldamento del clima ha colpito anche il suolo”.

I laghi termocarsici sono magnifici, ma per me sono allarmanti perché si formano quando il permafrost si scioglie.

Raul Serban e colleghi hanno raccolto dati sull’altopiano del Tibet tra il 2019 e il 2020 e hanno verificato che la temperatura dello strato superiore del suolo varia tra i -4,7 e i 2,3 °C, con consistenti differenze dovute all’altitudine e alla presenza o meno di vegetazione. Sono temperature ancora basse, ma non abbastanza. Già di per sé, il fatto che si formino laghi termocarsici è un segnale poco positivo: indica che il permafrost si è scongelato e non si è più riformato. Ma la situazione può ancora peggiorare: se il permafrost continua a scongelarsi più in profondità l’acqua drena nel sottosuolo e i laghi, con le loro riserve d’acqua, vengono letteralmente “inghiottiti” dalla Terra.
Nell’area dell’altopiano del Tibet studiata da Raul Serban e colleghi il numero dei laghi termocarsici è diminuito del 40 per cento tra il 1985 e il 2015 e anche la loro superficie si è ristretta, del 25 per cento. E poiché i laghi termocarsici rappresentano quasi la metà di tutti gli specchi d’acqua della regione, con loro si è persa una preziosa fonte di acqua e i processi idrogeologici e biologici sono irreparabilmente scombussolati.
I laghi termostatici sono come un canto del cigno dell’ecosistema, che offre del suo meglio in termini di bellezza e risorse appena prima di sparire.

I rischi

Se la temperatura dell’aria è il parametro più noto per denunciare i cambiamenti climatici, la temperatura del suolo è forse il parametro più drammatico.
La temperatura del suolo è infatti un buon indicatore di quello che succede sotto di noi, e “il suolo è la memoria del passato. Più si scende in profondità e più si disvelano le condizioni di centinaia di anni fa”, spiega Giacomo Bertoldi, ingegnere ambientale che, in Eurac Research, da anni studia il ciclo idrogeologico nelle Alpi. “Quando i cambiamenti climatici si registrano anche nella temperatura del suolo vuol dire che questi sono oramai profondi e presenteranno il conto per molto tempo”.
Dalla metà degli anni settanta, nella maggior parte dei siti monitorati nel mondo, la temperatura del permafrost misurata a un profondità di 10-20 metri è aumentata dagli 0,5 ai 3 °C. In alcuni siti è rimasta costante, ma non si sono registrati casi di abbassamento.

Sull’altopiano del Tibet, nella provincia di Qinghai, le preoccupazioni della Accademia cinese delle scienze sono concrete. L’instabilità del terreno dovuta all’aumento delle temperature del suolo minaccia le infrastrutture ingegneristiche, a partire dall’autostrada, lungo la quale sono stati infatti posizionati vari sensori per il monitoraggio. Il timore principale è quello di frane e cedimenti dei supporti portanti.
“Quello che succede sotto terra non si vede, ma non vuol dire che non provochi situazioni critiche, anche da noi, sulle Alpi”, continua Giacomo Bertoldi. “Gli esempi più lampanti che già conosciamo sono i distacchi di rocce, che avvengono quando due strati di terreno si scollano e quello più superficiale scivola giù perché viene a mancare la coesione dovuta al ghiaccio nelle fratture”. Può succedere su una vetta non frequentata, ma può succedere anche nei pressi di infrastrutture, sopra un centro abitato o su uno sperone dove poggiano i piloni di una funivia…
E quelli idrogeologici non sono gli unici rischi.
Non si conosce ancora bene il ruolo del suolo nel ciclo del carbonio e altri gas serra, ma per certo quando il permafrost si scongela rilascia metano e altri gas serra, e si scongela anche materiale organico, inclusi agenti patogeni che potrebbero ancora essere attivi – come ha dimostrato in Siberia un focolaio di antrace nel 2016.
E se il paesaggio, così come la quota, influenza la temperatura del suolo (dove c’è vegetazione è generalmente più bassa perché la vegetazione protegge dalle radiazioni solari) è vero anche il contrario: la temperatura del suolo condiziona gli usi, per esempio agricoli, che si possono fare di quel suolo. Dunque tenerla monitorata aiuta a fare scelte più consapevoli.
Lo scioglimento del permafrost ha un impatto anche sulla disponibilità di acqua per chi vive e lavora a valle: per esempio, in Tibet, se cambia il regime stagionale dei fiumi nell’area delle sorgenti del fiume Giallo, sono toccate centinaia di milioni di persone.

Dalla Cina alle Alpi e ritorno

Per quanto grossomodo alla stessa latitudine di circa 45°, l’altopiano dove nasce il fiume Giallo, in Cina, e le Alpi, e in particolare la val di Mazia, sono senz’altro ambienti diversi per quota, temperature, vegetazione. Al momento li lega una ricerca che ambisce a monitorare in modo più efficiente la temperatura dello strato superiore del suolo.
“Il metodo più tradizionale è quello dei carotaggi, ma sono molto dispendiosi e non permettono una visione d’insieme”, spiega Raul Serban. “Sull’altopiano del Tibet abbiamo impiegato un sistema più innovativo – testato in precedenza sui Carpazi – che si basa su sensori impiantati sotto terra e che registrano la temperatura a intervalli regolari, ogni tre ore”. In val di Mazia i ricercatori si aspettano un ulteriore passo avanti: sviluppare un modello di previsione della temperatura del suolo che si basa su fonti diverse: dati a terra, immagini satellitari e modelli idrogeologici. “In questo modo vogliamo monitorare con accuratezza ampi spazi, evidenziando le differenze tra quote diverse e tipologie diverse di terreno”, commenta Raul Serban.
Il modello che verrà messo a punto nei prossimi mesi in val di Mazia verrà validato sull’altopiano del Tibet per testarne l’affidabilità in ogni parte del mondo.

Il Progetto TEMPLINK è finanziato dalla Provincia autonoma di Bolzano – Programma Seal of Excellence.

Photo: Eurac Research/Ivo Corrà

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