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Se gli incontri con i clown nelle corsie e nelle stanze degli ospedali non sono più così inconsueti, la loro arte è invece ancora poco sfruttata all’interno di percorsi formativi rivolti a professionisti. Questa nuova metodologia può offrire risultati sorprendenti come dimostra una ricerca della Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano su un corso organizzato per il personale paramedico dell’Azienda Sanitaria di Bolzano.

“Chiariamo subito che non si tratta di clownterapia ma di vera e propria formazione”. È tranchante, Alessandra Farneti, docente di Psicologia dello Sviluppo presso la Facoltà di Scienze della Formazione unibz, che assieme a un collega di Facoltà, Reinhard Tschiesner, un anno fa è stata interpellata e coinvolta nell’organizzazione del corso di formazione basato sulla clownerie rivolto a fisioterapisti, medici e terapista occupazionale del servizio di riabilitazione fisica ospedaliera del Comprensorio Sanitario di Bolzano.
Il corso di clownerie non punta a creare degli imitatori di Patch Adams ma impiega le competenze artistiche dei clown a fini formativi, per insegnare alle persone a lavorare sulle proprie emozioni e alleggerire un contesto lavorativo - quello sanitario – sottoposto a un’acuta pressione psicologica. Gli incontri sono centrati sull’utilizzo delle tecniche espressive dei clown nella risoluzione dei conflitti. “Il clown, che normalmente è visto con antipatia dall’adulto, perché destabilizza, ci regala l’autoironia, un’arma molto efficace per accettare le sconfitte e a dare loro un senso”, afferma Alessandra Farneti.

La docente, psicologa e formatrice, ha una lunga esperienza nell’utilizzo della clownerie all’interno della formazione. Farneti fu la prima a organizzare, presso l’università di Bologna, due corsi di alta formazione post lauream - i primi al mondo - per “clown al servizio della persona”. Prima di allora i clown e l’accademia erano sempre stati molto lontani. Qui in Alto Adige lavora con due artisti del sorriso come Sigrid Seberich, meglio conosciuta come clown Karamela, e il clown italo-brasiliano André Casaca, a Bologna ha organizzato corsi per manager di grandi aziende, aiutati a gestire lo stress guardando il mondo con gli occhi del clown, “a testa in giù”.

Introdurre nel lavoro la capacità e la voglia di scherzare, allenta le tensioni e facilita i rapporti umani.

Farneti ha cominciato a interessarsi all’arte del clown dopo aver conosciuto un’allieva di Patch Adams e dopo aver partecipato con il famoso medico statunitense a una spedizione internazionale un po’ folle: una carovana di “clown” nella Siberia mongola che visitò orfanatrofi, carceri e ospedali per dieci giorni di fila, in un susseguirsi di esperienze felliniane. “In quell’occasione ho imparato come il clown non sia il classico “pagliaccio” ma un professionista che segue una disciplina rigida. Non è vero che con l’amore si va dappertutto. Bisogna essere preparati di fronte alla tristezza e alla disperazione che si incontrano”, puntualizza la psicologa.

Dopo il primo ciclo di formazione, i capisala di alcuni reparti dell’ospedale di Bolzano hanno segnalato un deciso cambiamento del clima lavorativo tra i colleghi e un miglioramento anche delle relazioni coi pazienti da parte degli infermieri che avevano preso parte al corso.

Michele (nome cambiato dalla redazione, ndr.) è uno degli infermieri che hanno accettato di farsi trasportare nel mondo clownesco da Karamela e André. “Il corso ha aiutato a cambiare diversi punti di vista della mia quotidianità sia sul posto di lavoro che nella mia vita privata”, commenta, “il tempo, il fatto di conoscere i miei colleghi e i docenti, lasciarmi andare e fidarmi degli altri, ha fatto sì che ciò che prima vedevo come negativo, diventasse positivo. Ho così cominciato a sentirmi a mio agio con gli altri e anche con me stesso”.

 Seduta su una sedia, nel cerchio formato dai suoi colleghi, Anna (nome cambiato dalla redazione, ndr.) si ritrova esposta agli sguardi degli altri. Sulle prime non riesce a creare un contatto visivo con chi le sta di fronte. Si sposta da un compagno di corso all’altro ma le reazioni non sono incoraggianti. Dovrebbe aiutarli a sorridere ma i suoi tentativi non danno grandi frutti. La sua posizione è troppo rigida. Il clown, Sigrid, si accorge della difficoltà di Anna e, silenziosamente, le si avvicina. Da dietro, appoggia le sue braccia a quelle della corsista e inizia a guidarne i movimenti. I due clown ora si muovono all’unisono in una danza ubriaca. Anna si scioglie e il suo volto si illumina di una luce diversa. Sigrid la abbandona e Anna, sola, sorride a una sua compagna di corso che, a sua volta, si lascia contagiare dalla sua allegria. È questo il potere empatico del clown che i partecipanti al corso imparano a conoscere: durante gli incontri, vengono coinvolti per mezzo di semplici esercizi che hanno l’obiettivo di togliere il senso di vergogna e creare complicità nel gruppo. Anna all’inizio si sentiva molto a disagio. Di fronte agli altri, ha dovuto accettare di accantonare il suo ruolo lavorativo per mettersi in scena diversamente. Si tratta di una prova che deve essere però accompagnata e preparata da professionisti perché anche semplici esercizi possono scatenare reazioni forti ed emozioni intense. “Le difese della persona vengono abbassate e fatte cadere e non tutti sono pronti a farlo”, racconta Reinhard Tschiesner. “Introdurre nel lavoro la capacità e la voglia di scherzare, allenta le tensioni e facilita i rapporti umani”, aggiunge, “purtroppo il limite di questi incontri è la brevità. Occorrerebbero training più lunghi e una partecipazione allargata a tutto il reparto.”

L’intervento dei due docenti unibz, oltre che nell’organizzazione degli incontri e nell’individuazione dei contenuti più adatti alla formazione dei partecipanti, è consistito nello studio delle reazioni dei partecipanti e nella misurazione dell’efficacia del lavoro del clown. “L’analisi qualitativa ha dimostrato che i soggetti, dopo il corso, si sentivano più capaci di proteggere e aiutare gli altri e più liberi dal peso delle regole”, puntualizza Farneti, “l’unico limite è stata la brevità. Gli allievi erano d’accordo sul fatto che sei mesi di incontri non bastano per modificare parti profonde del proprio Sé. I cambiamenti potrebbero consolidarsi in training molto più lunghi”. Il corso di clownerie è giunto alla seconda edizione. Il primo, nel 2012, era stato realizzato nell’ambito di una ricerca finanziata dalla Libera Università di Bolzano mentre i costi del nuovo saranno ora interamente a carico dell’amministrazione dell’Azienda Sanitaria locale: un buon segnale di collaborazione con il territorio. “I risultati del primo percorso sono stati ritenuti validi e incoraggianti e hanno spinto i committenti a richiederci un’altra formazione”, conclude Tschiesner.

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