Giorgio Camuffo: “Abbiamo imparato come rivolgersi ai bambini per ottenere la loro attenzione.”

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Si impara di più con gli occhi fissi sui libri, seduti ai banchi di scuola, oppure con attività che promuovono la partecipazione e l’interazione degli alunni? Quali nuove pratiche pedagogiche si potrebbero introdurre nella scuola o nei percorsi museali? E quale ruolo può avere il design? Sono gli interrogativi che hanno acceso la miccia della ricerca EDDES, ovvero “Educare attraverso/con il design”. Un progetto che - grazie al dialogo tra le competenze diversificate di designer e pedagogisti unibz - punta a individuare strategie efficaci per stimolare l’apprendimento creativo dei bambini tra i sei e i tredici anni.

Il corridoio e l’atelier al secondo piano dell’edificio della Facoltà di Design e Arti sono affollati da giovanissimi allievi. Di solito, vi si trovano perlopiù studenti alle prese con i progetti semestrali. Oggi invece, Giorgio Camuffo, docente di comunicazione visiva, i suoi assistenti, e un gruppo formato da quindici studenti di Design, dovranno accompagnare i bambini iscritti al workshop “Come on Kids!” alla scoperta del mondo della grafica e della comunicazione visiva. I circa venti bambini che partecipano al laboratorio hanno un’età compresa tra i sei e i dieci anni. Alcuni sembrano leggermente smarriti. Tutti, però, sono incuriositi da quel posto così diverso dalle aule delle loro scuole. Muri e pavimenti sono ingombri di colori e cartoncini, timbri, caratteri mobili di legno. Il setting del seminario è stato accuratamente predisposto dal team di Camuffo. Gli studenti hanno allestito quattro stazioni dai titoli intriganti - Zeitmaschine, Il libro delle meraviglie, Mr. Max e Ich bin/ Io sono - in cui lavoreranno con i designer in erba cercando di farne affiorare la fantasia e la creatività per le successive due ore.

Divisi i bambini in quattro gruppi, gli studenti si mettono al lavoro insieme a loro. Tutti si sentono sulla stessa lunghezza d’onda e le spiegazioni avvengono con grande naturalezza. L’entusiasmo dei ragazzi è alto, nonostante la stanchezza. La notte prima, Camuffo e gli studenti sono tornati da un lungo viaggio di studio a Casa Cenci, in Umbria. In un casolare nella campagna ternana, hanno incontrato il maestro di scuola elementare Franco Lorenzoni e discusso con lui delle metodologie alternative di insegnamento sviluppate nel corso della sua carriera. “Abbiamo scoperto una grande sintonia con il suo approccio. Lorenzoni è un instancabile sperimentatore. Pur non avendo una formazione in design, pensa e lavora come se l’avesse”, confessa Camuffo, “ci ha mostrato come progetti e costruisca lui stesso gli spazi e gli strumenti con cui riesce a insegnare, collegando tra loro materie diverse come la geometria, la filosofia e la geografia astronomica. Soprattutto ci insegna a rispettare i bambini e quanto è importante ascoltarli”.

Nella stazione intitolata “Libro delle meraviglie”, intanto, Rita è alle prese con la costruzione di un libro-raccoglitore che è anche una sorta di suo “museo personale”. Sta ritagliando alcuni cartoncini colorati e li sovrappone l’uno all’altro. Per costruire il libro, è necessario eseguire più operazioni e sfruttare le caratteristiche di tanti materiali: molteplici tipi di carta (crespa, velina, cartoncini) e sacchetti (grandi o piccoli, bianchi o marroni). Il libro che nasce dall’invenzione di Rita è un archivio che contiene le informazioni sulla sua creatrice perché serba traccia della sua esperienza con i materiali stessi e con le forme. Come anche nelle altre stazioni, i bambini imparano a conoscere e manipolare gli elementi a disposizione per raggiungere i loro scopi espressivi: si fanno amiche le lettere e i principi della comunicazione e poi ricompongono in maniera personale le storie che più stanno loro a cuore.

Camuffo e il suo team di ricerca - composto da docenti e ricercatori delle Facoltà di Design e Arti e Scienze della Formazione - sperimentano, documentano, valutano e sistematizzano il contributo del design - inteso come progettazione di oggetti, spazi e attività, ma anche come linguaggio, processo e approccio - all’apprendimento creativo dei bambini. Non c’è da stupirsi. D’altronde, il designer è proprio forse il professionista che più di altri, per riuscire al meglio, ha bisogno di liberare la sua esperienza dai condizionamenti e dalle incrostazioni culturali, ricercandone interpretazioni alternative. Esattamente come fanno i più giovani. Ma, attenzione, se l’aspetto ludico in EDDES è fondamentale, il progetto non si esaurisce nel gioco. Su questo aspetto Camuffo è molto chiaro: “Noi sfruttiamo le pratiche del design per progettare metodi e spazi per l’insegnamento, ovvero canali attraverso cui possono passare con più facilità i contenuti didattici proposti dall’insegnante”, afferma. In questo modo il design si allea naturalmente con la pedagogia.

“Con questa ricerca, puntiamo a elaborare una didattica orientata all’esperienza e il design viene in aiuto alla pedagogia”, racconta Beate Weyland, professoressa della Facoltà di Scienze della Formazione ed esperta di ambienti di apprendimento, metodologie dei processi formativi e di sviluppo della scuola. “Importante è creare una pluralità dell’apprendimento e”, aggiunge Weyland, “più il materiale didattico è diversificato, più facile sarà che ogni bambino riesca a impadronirsi del sapere, proprio perché ognuno ha una modalità diversa di imparare”.

“L’obiettivo cui tendiamo è capire come imparare a educare e formare. Per questo abbiamo imparato, o stiamo cercando di imparare, come parlare, sedersi, rivolgersi ai bambini”, sottolinea Camuffo. La commistione tra saperi e prospettive diverse è nata spontaneamente, grazie agli incontri tra colleghi delle due facoltà, ma è stata un’utile premessa metodologica perché EDDES prevede un lavoro di formazione anche per gli stessi ricercatori, aiutati in questo dai colleghi di Scienze della Formazione. Come gli psicologi in formazione, prima di analizzare i pazienti, devono svolgere un grande lavoro di conoscenza di sé stessi, anche designer studenti e professori hanno provato su sé stessi i workshop e continuano a raffinare gli strumenti.

“La nostra è una ricerca applicata, che sperimenta sul campo e che vuole portare risultati concreti nell’insegnamento”, conclude Camuffo, “crediamo sia utile sia per il design che per la pedagogia esplorare nuovi territori in cui sviluppare la didattica futura e un futuro per la didattica”. Dello stesso avviso, Beate Weyland che crede che il campo dell’interazione tra design e scuola “sia ancora tutto da esplorare e che possano aprirsi grande opportunità di lavoro per i giovani designer che hanno voglia di cimentarsi nella creazione di materiali didattici o di arredo scolastico”.

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