L’11 febbraio si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza istituita dalle Nazioni Unite. Lo scorso febbraio, in questa occasione, l’Università La Sapienza di Roma ha organizzato un convegno e presentato alcuni dati sulla ricerca al femminile in Italia*. Li abbiamo discussi con tre ricercatrici che in Eurac Research coordinano gruppi di ricerca molto diversi tra loro: ci hanno raccontato le loro esperienze personali, ma hanno tirato in ballo anche la Divina Commedia.

Secondo i dati del Ministero Istruzione Università e Ricerca la presenza delle donne nelle aree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) decresce, man mano che le posizioni salgono.
Claudia Notarnicola: A fisica eravamo un buon numero di iscritte che hanno completato il corso di studi, la prima grossa scrematura è stata il dottorato.
Alessandra Rossini: Nel mio campo la situazione è un po’ diversa. Biologia è tradizionalmente una facoltà femminile.

Quindi nel vostro settore sono più comuni le donne che fanno carriera?
Rossini: Sì, è una questione di numeri: partiamo in tante e quindi statisticamente è più facile avere una buona rappresentanza anche ai vertici. Anche se forse non sono tante quante potrebbero essere.
Notarnicola: In generale ci sono due aspetti da considerare. Uno è pratico: tenendo conto dell’impegno che richiedono famiglia e lavoro, spesso manca un supporto pratico, logistico per le donne che lavorano. Il secondo è una questione culturale: anche se alcuni strumenti come il congedo di paternità cominciano a essere previsti, non sempre vengono sfruttati perché l’idea condivisa è che la donna, non l’uomo, limiti il suo impegno lavorativo.

Quindi la famiglia è il nodo centrale secondo voi?
Irene Pichler: Io credo che anche prima di pensare a farsi una famiglia le donne siano più caute nelle loro scelte professionali. Se bandiamo una borsa di studio per un tirocinio post-laurea riceviamo solo curriculum di donne. Io ho l’impressioneche un uomo non si candidi nemmeno perché ha un’idea chiara di dove vuole arrivare e non è disposto a “perdere tempo” in posizioni poco remunerative.
Rossini: È vero, è raro che una donna dica “io voglio fare carriera, voglio arrivare lì”.
Notarnicola: Il fatto che non lo dica, non significa che non lo voglia. Credo che, come per la questione famiglia-lavoro, ci siano delle resistenze culturali: una donna non dice apertamente che punta alla carriera per paura di essere giudicata, di essere considerata presuntuosa. Un uomo invece viene apprezzato per la sua determinazione.

I dati mostrano una tendenza positiva, con una presenza femminile che si rafforza nel tempo. Quale rimane secondo voi l’ostacolo più grande da superare?
Pichler: Io torno sul tema della maternità. Ci si aspetta che una donna avrà dei figli e che poi sarà soprattutto lei a occuparsi di loro, riducendo il tempo dedicato al lavoro.
Rossini: Io tendo a non ragionare in termini di genere. Se partecipo a una riunione e sono l’unica donna, non mi sento in minoranza. Poi a volte mi è successo che raccontando alcuni episodi lavorativi, la reazione di chi mi ascolta fosse: “Beh, ma è ovvio che hanno deciso così, è perché sei una donna!”. Questo mi fa rileggere la giornata in un’altra prospettiva. Io attribuisco certi comportamenti più o meno gentili al carattere di una persona, non ne faccio una questione di genere. Però se ci penso una differenza c’è. Mi capita di ricevere inviti a conferenze indirizzati alla “Gent. Sig.ra Rossini”, sono sicura che se l’invito fosse rivolto a uomo scriverebbero “dottore”.
Notarnicola: (ride) È per quello che mi sono decisa a scrivere per esteso “dottoressa Claudia Notarnicola” quando mi iscrivo ai convegni. Se scrivo “Dr. Notarnicola” tutti si aspettano un uomo. Fino a qualche tempo fa, neanche io mi ero mai posta veramente la questione di genere. Sono stati altri a farmelo notare, e in ogni caso credo che spesso gli episodi spiacevoli non nascano dalla volontà di discriminare ma semplicemente da cattiva comunicazione, da caratteri più aggressivi di altri.

 

Vedendo i colleghi più giovani io sono ottimista, credo che stiamo vivendo un bel cambiamento negli ultimi vent’anni.

Avete avuto modelli femminili che hanno indirizzato vostra carriera scientifica?
Notarnicola: Nel mio immaginario ho modelli sia maschili che femminili che stimo per quello che hanno fatto, per le difficoltà che hanno superato.
Pichler: Sì, penso a chi ce l’ha fatta, a chi è riuscito a conciliare famiglia e lavoro. Penso per esempio a una professoressa universitaria con cui ho studiato che, almeno apparentemente, ha raggiunto un buon bilanciamento tra lavoro e vita privata.
Rossini: Diciamo che ho incontrato sia donne che uomini che mi hanno fatto capire che anche io avrei voluto conciliare famiglia e lavoro, senza esaurirmi in uno dei due aspetti.

Nell’organizzazione del lavoro, nel coordinamento dei vostri gruppi di ricerca vi lasciate influenzare dalla questione di genere, anche in positivo?
Notarnicola: No, spero di non farlo. Quando valuto un curriculum non vorrei sapere di chi è. Ho una posizione controversa sulle quote rosa. In principio non sono a favore, non vorrei essere costretta ad assumere una donna. Però credo anche che sia una questione di giustizia: partendo da una posizione sbilanciata a favore degli uomini, le quote rose potrebbero essere uno strumento temporaneo per ribilanciare la situazione. Una volta raggiunto l’equilibrio non sarebbero più necessarie.
Pichler: No, io studio i curriculum alla ricerca delle competenze e delle qualifiche che ci servono per svolgere quel determinato lavoro. Dall’anno prossimo, per la prima volta, avremo un uomo nel nostro team, ma non credo che questo cambierà le dinamiche interne al gruppo.

 

E quale sarà per voi il segnale che si è ottenuta l’uguaglianza?
Rossini: Quando non ci porremo più il problema. Quando parleremo di persone, non di uomini e donne.
Pichler: Sono previsti assegni di ricerca specifici per le donne: potrebbero – come le quote rosa – essere una misura temporanea per raggiungere l’uguaglianza.
Notarnicola: Vedendo i colleghi più giovani io sono ottimista, credo che stiamo vivendo un bel cambiamento negli ultimi vent’anni. Mi viene in mente un’immagine: Dante che si perde nella selva oscura, vede la luce sulla cima di un monte e tenta di scalarlo, ma tre fiere lo bloccano. Nel nostro caso le tre fiere potrebbero essere pregiudizi, barriere culturali e ingiustizie. E infatti arriva Virgilio a consigliargli di cambiare strada…
Rossini: … e gli fa fare un bel giro per inferno, purgatorio… (ride)
Notarnicola: … però poi a condurlo in paradiso è una donna.

*Grazie a Leonetta Baldassare, ricercatrice del dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza, per averci fornito i dati

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