Elisabeth Tauber, qual è l'atteggiamento più frequente verso i Sinti?

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Elisabeth Tauber è etnologa. Studia e mette a confronto le diverse culture umane. Per affrontare questa professione, è necessaria la capacità di attraversare i confini, essere in grado di far comunicare tra loro universi anche molto distanti, seminando senso laddove, apparentemente, un senso non c’è. Tauber, in particolare, lavora sulla cultura romaní dei Rom e Sinti che da sempre, vivono ai limiti e sui limiti, costantemente in movimento tra confini territoriali, linguistici, temporali.

Non è un caso, quindi, che Tauber abbia organizzato una Conferenza Internazionale alla Libera Università di Bolzano - dal titolo On categories and boundaries: Intersections in the history and ethnography of Europe’s Sinti and Roma (19th-21st centuries) – il 6 e il 7 giugno 2017.  

Attualmente, quanto conosciamo della storia dei Sinti?
Tauber: In Italia abbiamo studi storici di alto livello per l’antico regime, ma quasi tutti riguardano la presenza di Rom nel centro e Sud della penisola a partire dal XVI secolo. Per la nostra regione vi è l’importate lavoro di Tommaso Iori (XV-XVIII secolo), mentre in Austria le ricerche d’archivio si sono concentrate soprattutto sul periodo dell’Olocausto. La Conferenza prende, invece, in considerazione la storia contemporanea (XIX-XXI secolo) perché vogliamo mettere in relazione le ricerche negli archivi (svolte sia da storici che da antropologi) con le ricerche etnografiche che riguardano invece le memorie delle reti familiari Sinte e Roma.

Perché?
Tauber: Siamo convinti che mettere a confronto memorie familiari con documentazione d’archivio sia essenziale per interpretare silenzi, incongruenze e parallelismi fra il modo in cui le persone ricordano (quella dei Sinti e dei Rom è una cultura prevalentemente orale) e il modo in cui lo Stato cerca di controllare e definire queste popolazioni. Nella nostra regione è interessante mettere a confronto la documentazione prodotta dalla polizia asburgica e da quella italiana sia prima che dopo la prima guerra mondiale.

A quanto tempo addietro risale la presenza dei Sinti in Alto Adige?
Tauber: Tentando di rintracciare la presenza romaní in regione, Tommaso Jori, un giovane storico trentino, è arrivato fino al XVI secolo. Paola Trevisan, Andrea Di Michele ed io, con il nostro progetto di ricerca, siamo riusciti a risalire a quasi duecento anni fa. Siamo in possesso di documenti che risalgono al 1820, che ci consentito di riconoscere le pratiche economiche dei Sinti, che scambiavano e commerciavano con i contadini, pernottavano da loro, seppellivano i familiari nei cimiteri locali. Abbiamo potuto costatare una continuità della presenza dei Sinti, che venivano indicati con il termine “cingheni”. 

In quali territori si muovevano?
Tauber: Le famiglie Sinte di cui ci occupiamo si sono sempre spostate lungo itinerari che comprendevano il Sud Tirolo, il trentino, il bellunese sino alle Alpi Carniche e il Carso. Già alla fine del Novecento i loro itinerari comportavano un attraversamento dei confini fra l’Impero austriaco e il Regno d’Italia, ma gli spostamenti non erano casuali, poiché le famiglie conoscevano i paesi dove ci si poteva fermare ed era forte il senso di appartenenza a questi territori.  Se le famiglie avevano legami forti con il territorio, spesso le autorità (prime asburgiche e poi italiane) cercavano di allontanarle, spingendole ad attraversare i confini ora dell’uno ora dell’altro stato.

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In Alto Adige, esistono anche storie di convivenza?

Si legge una certa analogia nella storia odierna dei profughi dal Medio Oriente.
Tauber: Sappiamo, studiando i rapporti della polizia asburgica e italiana, che i Sinti non erano ben accetti e ognuna delle due parti cercava di respingerli, affermando che appartenevano all’altro stato. Sia le guardie confinarie austriache che la polizia italiana ne favoriva il passaggio clandestino delle frontiere, agendo di fatto in maniera illegale.

Qual era invece il trattamento della popolazione nei loro confronti?
Tauber: Bisogna differenziare. Dipendeva dalle zone. Lo dimostrano le mie ricerche e i racconti sia da parte Sinta che della popolazione locale. I Sinti sapevano quali erano le località in cui potevano sostare ed esercitare i propri mestieri. In quei luoghi c’erano contadini di cui ci si potevano fidare, che si conoscevano e con i quali si praticavano un’economia basata sul baratto. Questa situazione di buoni rapporti è rimasta tale fino agli anni ’70 del secolo scorso.

L’immagine dell’Impero austroungarico è quella di un Vielvölkerstaat, un impero di tante minoranze che vivevano più o meno pacificamente una vicina all’altra.
Tauber: Non era così, almeno per gli i Sinti delle zone alpine e i Rom nella Burgenland. L’impero asburgico ha praticato una politica verso Rom e Sinti molto differenziata, ma basti ricordare la Zigeunerpolitik di Maria Teresa e Giuseppe II che hanno messo in pratica decreti anche molto violenti. Nel Burgenland si smembravano le famiglie, i bambini venivano mandati a lavorare per i contadini. Si cercava di assimilarli forzatamente attraverso la distruzione dei nuclei familiari. In Germania, invece, venne vietato il viaggio in gruppi. L’obiettivo era distruggere le famiglie allargate per togliere loro forza. Nell’Italia preunitaria, ogni stato aveva le sue regole: mentre la Serenissima gestiva la presenza dei “cingani” bandendoli dai propri territori, in molte regioni del centro e del sud Italia le famiglie Rom si sono assimilate alla popolazione locale, costituita prevalentemente di contadini poveri, esercitando mestieri utili all’intera comunità.

Il vostro progetto di ricerca si concentra sull’epoca fascista. Come mai?
Tauber: Andrea Di Michele conosce bene gli archivi del Trentino e dell’Alto Adige, perché ha lavorato sulla storia regionale in epoca fascista. Paola Trevisan è andata a scavare negli archivi di Lubiana, Trieste, Gorizia e Pazin/Pisino per fare un paragone con quello che è successo nella Venezia Giulia nel periodo fascista. Sia la Venezia Tridentina che la Venezia Giulia (che il fascismo definì “nuove provincie di confine”) hanno vissuto massicce politiche di italianizzazione. Le politiche anti zingare del fascismo non si sono però esplicitate nello stesso modo nelle due regioni, risultano molto più aggressive lungo il confine orientale.  Nel Trentino e nell’Alto Adige solo alcune famiglie furono mandate al confino di polizia nel sud Italia ed internate nel campo di concentramento di Agnone (Campobasso) prima del 1943, mentre nell’Istria ciò avvenne in maniera sistematica. Fortunatamente i Sinti dell’Alto Adige sono riusciti a spostarsi in altre regioni italiane prima dell’arrivo dei nazisti, evitando così la deportazione nel Reich, mentre alcune famiglie Rom che vivevano nella zona di operazione del Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland) furono deportate nei campi di sterminio.

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Come funziona la nostra società…

Ci sono state differenze tra Trentino e Alto Adige?
Tauber: Sì, in Alto Adige sembra esserci stato un accanimento minore del fascismo, che pure riteneva pericolosi i Sinti e i Rom che si muovevano nella regioni di confine, particolarmente se non aveva una residenza o un domicilio. Forse la politica di italianizzazione era l’obiettivo prevalente del regime e non si sono voluti vedere i sinti? Questa, per ora, è solo un’ipotesi. Stiamo cercando di rintracciare le liste dei “pertinenti” nei singoli comuni dell’Alto Adige, per capire esattamente cosa è successo al momento dell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte della popolazione sud tirolese, elemento chiave per comprendere come vennero considerati i Sinti di questa provincia.

E in Trentino?
Tauber: Durante il fascismo Castello Tesino fu scelto come località di internamento. È stata l’unica delle oltre venti località per l’internamento di Sinti e Rom in Italia a rimanere in funzione dopo il settembre 1943. Fu istituita nell’aprile del 1941 e vi venne internata la famiglia sinta Mayer-Pasquale, composta da 13 persone. Dalla documentazione d’archivio sappiamo che nell’estate del 1944 gli uomini furono inviati a Trento per il lavoro obbligatorio, e da lì Enrico Pasquale ricevette l’ordine di presentarsi in Questura a Verona.  Decise però di scappare sottraendosi ad un probabile invio in Germania.

Che convegno sarà On categories and boundaries?
Tauber: Abbiamo voluto un incontro interdisciplinare per indagare la connessione fra nascita e sviluppo degli stati nazione e le popolazioni Sinte e Rom che vivevano all’interno di quei territori, ma che spesso ne attraversavano i confini. Ci proponiamo di mettere in luce la connessione fra politiche di controllo sui movimenti transfrontalieri e la categorizzazione dei Rom e dei Sinti all’interno dei diversi stati nazione in Europa. Siamo soprattutto interessati a mettendone in evidenza l’impatto di queste politiche statali sulle popolazioni romanì

Chi parteciperà?
Tauber: Il convegno, il primo nel suo genere, porterà in Alto Adige alcuni dei migliori studiosi - storici e antropologi - italiani, europei e statunitensi. Questa collaborazione tra specialisti di due diverse discipline - un altro superamento di barriere - sarà costruttiva ed innovativa. Ci permetterà di mettere a confronto competenze differenti, ampliando le nostre conoscenze per penetrare più in profondità sia nella storia che nella vita culturale dei Roma e Sinti che hanno vissuto e vivono nella nostra regione.

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…rispetto a quella dei Sinti.

Sinti e Rom, durante il convegno potranno parlare in prima persona?
Tauber: Sì. Abbiamo previsto un workshop e una tavola rotonda sia il primo che il secondo giorno. Si tratta di eventi dove le lingue di interazione saranno sia l’italiano che il tedesco. Ciò permetterà il coinvolgimento di famiglie Sinte locali e la partecipazione della popolazione.

Arrivando ai giorni nostri, come si spiega l’atteggiamento di sospetto, nel migliore dei casi, o, più spesso, di completo rifiuto che caratterizza le relazioni tra società maggioritaria e cittadini di origine zingara?
Tauber: Non sono una psicologa sociale ma, dal punto di vista etnologico, posso osservare che il processo di costruzione di un’economia e di una società capitalistica, di pari passo con la costruzione degli stati nazionali, sono stati spesso molto violenti, hanno mietuto molte vittime. Penso, ad esempio, alle donne accusate di praticare la stregoneria, ai bambini che lavoravano nelle miniere, oppure il divieto di accesso alle terre comuni. L’idea che l’individuo debba essere inserito nel sistema produttivo e parteciparvi senza opporsi, fa si che reti solidali si rompano e si dissolvano lasciando all’individuo solo il ruolo di produttore e di consumatore. Quello che rende Rom e Sinti un facile bersaglio di tensioni sociali e di paure che hanno radici in uno stravolgimento del rapporto con l’Altro, è la loro capacità di sottrarsi a questi processi. Non dimentichiamo che vennero perseguitati anche nei regimi socialisti per non volersi conformare al sistema produttivo in vigore.  Essi sono un esempio della non riuscita di quel processo di omogeneizzazione nazionale e sovranazionale - stessa lingua, stesso credo, stessa origine - che ha riguardato le popolazioni europee. Sono stati e sono sottoposti a discriminazione strutturale. Pagano questa loro irriducibilità alla modernità a costi altissimi.

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