Andrea Di Michele, storico e ricercatore del Centro di competenza Storia Regionale della Libera Università di Bolzano, ha indagato le vicende dell’Ente Nazionale Tre Venezie, al centro del suo nuovo saggio. Di Michele ha scavato nella storia dell’ente mettendo in luce il naufragio del tentato radicamento agricolo dei contadini altoatesini di madrelingua italiana durante il fascismo.

Quali sono le origini dell’Ente Nazionale Tre Venezie?
Andrea Di Michele: Nacque negli anni trenta come ente autonomo posto sotto la sorveglianza della presidenza del consiglio e, qui in Alto Adige, fu lo strumento con cui lo stato italiano avrebbe voluto concretizzare una presenza italiana legata alla terra, data che questa era per lo più urbana. Prima, negli anni venti, ci aveva già provato l’Opera Nazionale Combattenti, un fondo assistenziale che era stato incaricato di procedere a bonifiche per insediare sui terreni nuclei famigliari legati a ex-combattenti.

Un po’ la stessa cosa che avvenne con le bonifiche nell’Agro Pontino.
Di Michele: Esatto. Il problema è che qui, però, non esistevano grandi territori da risanare. Si provvide a farlo per esempio a Sinigo, una realtà piuttosto unica. L’altra ipotesi - sostenuta da Ettore Tolomei - era quella di procedere con acquisti ed espropri di terreni su larga scala. L’Ente Nazionale Tre Venezie avrebbe dovuto occuparsi proprio di questo: comprare tenute agricole dalla popolazione di lingua tedesca e rivenderle a prezzi di favore a contadini italiani. L’operazione avrebbe dovuto essere svolta per mezzo di una banca, il Credito Atesino, che avrebbe praticamente lavorato in perdita.

Questo istituto di credito fu effettivamente creato?
Di Michele: No. Tolomei lo desiderava ardentemente ma, oltre alla questione economica, esistevano ragioni dettate dalla politica internazionale che inducevano a più miti consigli. Inoltre, non attraeva l’idea di dover investire tanti soldi per cacciare quegli elementi – i contadini sudtirolesi – che non erano considerati particolarmente pericolosi e attivamente avversi al fascismo, scatenando per di più una tempesta internazionale e magari pregiudicando il livello di produttività dell’agricoltura di montagna.

Quali furono i beni di cui entrò in possesso l’Ente Tre Venezie?
Di Michele: L’esempio forse più noto è quello di Castel Trauttmansdorff, ribattezzato Castel di Nova. Il proprietario, il barone Friedrich von Deuster, venne spodestato dopo il primo conflitto mondiale e il castello entrò nelle disponibilità dell’ente che lo gestì fino agli anni settanta quando, con il secondo statuto di autonomia, tutti i beni che amministrava passarono alla Provincia autonoma di Bolzano. Durante il fascismo l’Ente avrebbe dovuto anzitutto acquistare i beni dei cittadini di madrelingua tedesca che avevano scelto di “optare”, ovvero diventare cittadini tedeschi, in seguito all’accordo tra Italia e Germania del 1939.

Come mai soprattutto i beni degli optanti?
Di Michele: Perché, se decidevano di diventare sudditi del Reich, dovevano disfarsi delle loro proprietà in Alto Adige. Potevano venderle sul mercato, a qualsiasi prezzo. L’accordo italo-germanico prevedeva che i loro beni fossero valutati da una commissione mista per il valore che possedevano al momento dell’opzione e che venissero ceduti all’Ente Tre Venezie al prezzo stimato.

Furono molte le proprietà alienate?
Di Michele: Furono all’incirca 3700 i possedimenti che, in seguito alle Opzioni, finirono nelle mani dell’Ente Tre Venezie. Tra questi terreni agricoli e masi, ma anche appartamenti, alberghi, negozi. È interessante invece osservare come, da un certo momento in poi i passaggi di beni all’Ente si bloccarono.

Come mai?
Di Michele: Innanzitutto, la procedura era lunga: prima dovevano fare la valutazione gli italiani, poi i tedeschi e spesso non si trovavano d’accordo. Poi con il passare dei mesi, tanti che avevano optato ma non erano ancora partiti, cominciarono a ritardare il trasferimento oltreconfine. Arrivavano le prime notizie da chi era andato a vivere in Germania e se la passava male. Chi aveva beni da vendere poteva continuamente rimandare la partenza rimettendo in discussione la stima e facendo così ripartire tutta la macchina burocratica.

I possedimenti che invece furono acquistati vennero pagati direttamente agli optanti dallo stato italiano?
Di Michele: No, l’Ente Tre Venezie versava la somma pattuita su un conto gestito e controllato dalle autorità germaniche: il “Conto Alto Adige”. I singoli proprietari non ricevevano niente ma, secondo l’accordo, se in Germania avessero trovato un bene da acquistare, il Reich gli avrebbe accreditato la cifra corrispondente. Oppure se la Germania avesse dato loro un maso – come è successo in Slovenia, dove i proprietari sloveni erano stati cacciati – la cifra sarebbe rimasta allo stato germanico, dato che loro avevano ricevuto una contropartita. Furono soldi che di fatto arricchirono le casse del Reich.

Un’altra questione legata all’Ente è quella di misteriosi finanziamenti dall’estero che, dopo il 1945, avrebbero permesso alla popolazione di lingua tedesca “di accaparrarsi immobili di proprietà italiana”, come scrive la prefettura di Bolzano.
Di Michele: È un tema che ricorre spesso nella documentazione. Si parla di finanziamenti dei paesi di lingua tedesca, di ricchezze di origine poco chiara rimaste sul territorio dalla fine della Guerra. Si tratta di commenti di parte italiana, presenti non solo sulla stampa – quindi un po’ propagandistici – ma anche negli scambi riservati, per esempio tra il comando dei carabinieri e la presidenza del consiglio). Un’altra questione era quella riguardante il “Conto corrente Alto Adige” su cui erano stati versati i soldi derivanti dall’acquisto dei beni da parte dell’Ente: cosa ne è stato di quei soldi? Si sa di persone che hanno venduto i loro beni in Alto Adige e non hanno mai visto nulla. La questione meriterebbe un approfondimento, magari consultando gli archivi germanici.

Il progetto della bonifica

    

 

 

  

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