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Offrire l’istruzione scolastica a un bambino che abita in un piccolo paese delle Alpi costa molto di più rispetto a garantirla a chi vive in periferia di Milano. Se si ragionasse solo in termini economici molte scuole, uffici postali e fermate dell’autobus avrebbero poco senso nei tanti borghi che costellano l’Italia. Christian Hoffman e Andrea Membretti, esperti in sviluppo regionale di Eurac Research, spiegano perché mantenere questi servizi sia utile anche a chi vive in città.

Quando si parla di sviluppo del territorio, spesso si parla del rapporto tra centro e periferia. Quale è il rapporto tra città e paesi in Italia?
Membretti: A differenza di altri paesi europei anche dell’arco alpino, in Italia mancano grandi metropoli. In Francia e in Austria c’è un forte accentramento, mentre l’Italia è il paese dei mille campanili. Il 70 per cento del territorio è costituito dalle cosiddette aree interne, cioè dalle zone più lontane da scuole, ospedali e stazioni in termini di distanza e raggiungibilità. Sono territori in cui i cittadini godono meno degli “uguali diritti” sanciti dall’articolo 3 della Costituzione. E non si tratta di un pugno di eremiti, ma di un quinto della popolazione italiana.

Quali sono i servizi a cui questi cittadini hanno difficile accesso?
Hoffmann: Si tratta di servizi chiave per la qualità di vita delle persone e anche per l’attrattività del territorio. Sono servizi essenziali come scuola, asilo, farmacia, supermercato, ambulatorio medico. In uno studio in nove aree pilota nell’arco alpino (vedi box) abbiamo analizzato quanto questi cinque servizi siano accessibili per la popolazione, notando grandi differenze. Mentre nella zona Pays Asses-Verdon-Vaïre-Var nell’Alta Provenza ci si impiega da due a sei minuti per raggiungere questi servizi tramite trasporto pubblico, nella regione slovena di Idrija e Cerkno i tempi salgono a 30-40 minuti. È vero che scuola, farmacie, supermercato sono servizi di base, ma è anche vero che erogarli in certe zone ha costi altissimi.

Qualcuno dice che sarebbe meglio investire questi soldi per migliorare le infrastrutture in città a beneficio di più persone.
Membretti: Le aree interne rappresentano la maggior parte del nostro territorio. Non possiamo fingere che non esistano, chiudere la scuola e l’ufficio postale e sopprimere la fermata dell’autobus. Lo spopolamento di queste zone è un fenomeno recente, la gente se ne è andata, ma tutto quello che ha prodotto in una civilizzazione di lunghissima durata resta. Nei borghi abbandonati rimangono mulattiere, terrazzamenti, castagneti; sono risorse che hanno un valore anche economico. C’è il bosco, ci sono i pascoli. Sono territori ricchi di risorse, garantiscono servizi collettivi come l’aria pulita, ma sono anche aree fragili, devono essere curate se non vogliamo che cadano addosso al restante 30 per cento del nostro territorio.

Città e paesi non vanno pensati in termini antitetici, ma come parti interconnesse.

Cosa si può fare per prendersene cura?
Hoffmann: Bisogna che lo Stato torni a occuparsi di questi territori, senza l’intervento pubblico certe infrastrutture non possono essere mantenute. Devono essere garantiti standard di vita non uguali, ma paragonabili a quelli delle città. Città e paesi non vanno pensati in termini antitetici, ma come parti interconnesse.
Membretti: Non è la stessa cosa vivere in alta valle o in città, le specificità ci sono, ma non devono rappresentare un ostacolo ai servizi essenziali. Non si deve pensare che gli schemi di sviluppo urbani possano essere trasportati in montagna. C’è un modello di sviluppo che viene dalla tradizione ed è incentrato sull’idea del limite, sul consumo limitato delle risorse, sul diversificare le fonti di reddito all’interno della famiglia. Tutti questi elementi assieme fanno la qualità di un’esperienza e diventano un modello anche per chi sta in città. A lungo abbiamo guardato alle zone interne come a periferie che dovevano imitare le aree metropolitane. Invece credo che oggi abbiamo la possibilità di vedere le cose in un modo diverso. I saperi che sono rimasti nelle aree interne e le persone che sono tornate a viverci ci insegnano che ci sono anche dei modi di intendere lo sviluppo del territorio diversi da quelli che hanno portato sicuramente molto benessere, ma anche problemi, come cambiamenti climatici, sfruttamento eccessivo del suolo, stress, traffico.

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Christian Hoffmann e Andrea Membretti

Alla luce di questo, come vi immaginate idealmente il rapporto tra città e paese tra vent’anni?
Membretti: Vanno garantite forme di biodiversità e sociodiversità. Diversità nelle forme di vita associata e culturale, diversità nell’uso del territorio. Non vorrei vedere le città diventare un grande paese, l’aria della città rende liberi e non tutto quello che ha a che fare con l’urbanizzazione è negativo. Vedo la riscoperta delle specificità non solo come un auspicio, ma come un movimento che si sta già verificando in tante zone.

 

La riscoperta delle specificità è un movimento che si sta già verificando in tante zone.

Hoffmann: Credo che a fronte delle difficoltà sempre maggiori che ci troveremo a dover affrontare vivendo in città, una parte della popolazione tornerà volentieri a occupare zone rurali, magari potendo contare sulla tecnologia che internet mette a disposizione per accorciare virtualmente la distanze. Non parlo di movimenti di massa e di esodi verso la campagna, ma credo che a livello individuale ci sia la tendenza a riscoprire il valore di produrre qualcosa con le proprie mani.

I territori rurali e montani italiani sono raccontati e analizzati all’interno del volume “Riabitare l’Italia” (Donzelli Editore, 2018) a cui ha contribuito anche Andrea Membretti. Aggiornamenti su questi argomenti si possono seguire sui profili Facebook e Twitter di Riabitare l’Italia.

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