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Una passione nata dall’insonnia.

Le lunghe notti trascorse, da neonata, ad ascoltare le ninne nanne cantate dai miei genitori, pare abbiano avuto l’effetto descritto dal ricercatore americano Edwin Gordon del canto ‘dal vivo’ sui bebè: sviluppare l’attitudine musicale presente in ogni bambino. Risultato: a cinque anni la musica era già, con i colori e la ginnastica, una delle mie grandi passioni. Poi il coro, il conservatorio, lo studio del pianoforte e del canto... Il passo decisivo a diciannove anni: “Cosa studi?” “Musicologia!”, “Ah, che bello, psicologia!”. La scelta non si poteva certo definire usuale e poteva sembrare anche un tantino rischiosa: “Con la musica non si mangia!”. In effetti, in Italia questo sembra tristemente vero. Al contrario di quanto accade in altri luoghi, dove la musica è considerata più di un piacevole passatempo. E infatti l’Italia è paese di forte emigrazione musicale. Nel mio caso, musica anche all’università: ormai non c’era più scampo! Scoprire gli aspetti più ‘intellettuali’ della musica - la sua genesi, la sua storia, la sua architettura, i rapporti con la filosofia, la psicologia, l’arte figurativa - era affascinante tanto quanto sperimentarne, attraverso il canto e il pianoforte, gli aspetti emozionali, sentimentali e sociali. In quel momento la passione ci ha travolto e da allora siamo diventate inseparabili. Perché la musica non solo è per tutti, ma è ‘testa’ e ‘core’. Per questo ci prende, e non ci lascia più.
PS. Da alcuni anni mi dedico alla scoperta di antichi manoscritti musicali conservati in chiese e conventi, riportando alla luce piccoli grandi tesori di storia e di arte da lungo tempo dimenticati. Le ricerche, iniziate in Trentino circa dieci anni fa, si concentrano ora in Sudtirolo, terra particolarmente ricca di musica e di testimonianze musicali.

Giulia Gabrielli/unibz
Docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione

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