Chi fa da sè, può fare i soldi. Ma rischia di essere un successo poco duraturo. Meglio cooperare e garantirsi una sostenibilità prolungata, specialmente in aree delicate come quelle montane. Secondo i ricercatori dell’EURAC, fa bene al territorio e fa bene anche al portafoglio.

La visita che avevamo programmato in val di Zoldo salta. La circolazione è stata chiusa perché una frana ha danneggiato la strada che da Belluno, passando per Longarone, risale in un’oretta fino agli oltre 1000 metri della valle alta. Al telefono, Nadia Scarzanella si affretta a precisare: “Non è che succeda spesso. Questo è un anno di piogge eccezionali. I collegamenti sono generalmente buoni”. Sembra quasi voler mettere le mani avanti, per far fare bella figura alla sua valle.
In effetti, in val di Zoldo la situazione non è buia come in altre aree delle Alpi. Tra i comuni di Zoldo Alto e Forno di Zoldo, una manciata di chilometri più sotto, abitano circa 3000 persone, ci sono due scuole elementari e una scuola media. I servizi di base – e non solo – non mancano: ci sono per esempio poste, banche, negozi di vario genere, un’estetista e quattro parrucchiere. In estate i turisti si godono il fresco, in inverno si affollano sulle piste del comprensorio dello Skicivetta.
Eppure qualcosa si può ancora fare per dare maggiore vitalità a questi paesi. Ne sono convinti Nadia Scarzanella, già insegnante oggi impiegata nella carrozzeria di famiglia, e una decina di compaesani che il 26 novembre scorso hanno fondato la cooperativa Festil (fontana, in ladino), con un capitale iniziale simbolico di 1000 euro. Il loro intento è duplice. Da una parte vogliono fornire alla comunità servizi nuovi: pulizie domestiche per anziani, assistenza ai bambini. Dall’altra parte la cooperativa si propone di coordinare varie spinte imprenditoriali. Le prime idee spaziano da una lavanderia alla gestione della filiera del legno dei boschi di larici, passando per le piccole manutenzioni.
“In val di Zoldo ci sono tanti emigranti stagionali. Se ne sono andati dopo la guerra per sfuggire alla miseria e hanno aperto gelaterie in altre parti d’Italia, specie in Piemonte, e in Germania. I più hanno fatto fortuna e tornano in valle solo da metà ottobre a febbraio”, racconta Nadia Scarzanella. “Ma ci sono anche giovani che non vorrebbero andarsene. Talvolta hanno buone idee, ma muoversi da soli è rischioso. Anche se la crisi qui ancora non ha morso, le spese sono tante e il mercato della valle incerto e piccolo. La proposta dei ricercatori di IDCoop di fondare una cooperativa è stata una occasione da cogliere al volo”.

Primo comandamento: cooperare
ID-Coop è un progetto di ricerca internazionale coordinato dall’EURAC che vuole promuovere il cooperativismo nelle province di Belluno, Bolzano, Udine e Gorizia e nei distretti di Villach-Land e Völkermarkt in Carinzia, in Austria. Dopo una attenta indagine delle condizioni amministrative e socio-economiche delle varie aree, i ricercatori hanno individuato modelli di cooperative che potessero essere riproposti e hanno fornito consulenza legale e rimborso delle spese notarili agli interessati che volessero intraprendere questo percorso.

Cooperare significa aprire una pasticceria e farne di più insieme, di torte.

“I progetti collettivi possono essere un volano per i progetti individuali e sono sostenibili sul lungo periodo, specialmente in montagna”, afferma Thomas Streifeneder, geografo, direttore dell’Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio dell’EURAC. “Il caso dell’Alto Adige è un esempio molto positivo, riconosciuto persino dalla FAO. Le cooperative agricole gestiscono quasi il 100 per cento del latte, oltre il 90 per cento del vino e circa il 95 per cento della frutta, mele in testa. Certo, ci sono aspetti migliorabili, ma è principalmente grazie alle cooperative che tanti piccoli contadini mantengono vivo il territorio e i loro prodotti sono conosciuti in tutto il mondo”. Eppure anche in Alto Adige, secondo Streifeneder, ci sono ancora potenzialità inespresse: nell’artigianato, nei sevizi, nella creazione di stalle comuni. L’importante è capire che mettersi insieme non significa doversi dividere una torta, con fette sempre più piccole quanto più numerosi sono i partecipanti. Cooperare significa aprire una pasticceria e farne di più insieme, di torte.

Il tocco in più: la promozione delle minoranze
Oltre alla cooperativa Festil, nella cornice del progetto ID-Coop è nata a Ortisei una nuova cooperativa Altro Mercato, che commercia anche prodotti ladini. Altre hanno aderito e adeguato i loro statuti, per esempio Radio Onde Furlane, che manda in onda trasmissioni in friulano, sloveno, tedesco e nelle lingue delle nuove minoranze. Un risultato soddisfacente per i promotori di ID-Coop, se si considera che i prerequisiti richiesti dal progetto erano molto specifici. I ricercatori volevano sì proporre il modello cooperativo come strumento di rilancio economico, ma allo stesso tempo valorizzare le identità delle minoranze storico-linguistiche presenti sui territori scelti: circa 800 mila persone tra friulani, ladini e sloveni. “In alcuni casi le cooperative promuovono in forma diretta la lingua e la tradizione delle minoranze. Più spesso si tratta di una promozione indiretta: creando posti di lavoro, le cooperative radicano sul territorio la comunità che si prende così maggior cura della propria cultura e rafforza la propria identità”, spiega Alexandra Tomaselli, giurista dell’Istituto sui Diritti delle Minoranze dell’EURAC e coordinatrice del progetto ID-Coop. Gli esempi incoraggianti che cita sono vari: una cooperativa edile di rom in Germania, una cooperativa di sloveni che produce biomassa in Stiria, in Austria, oppure ancora la cooperativa Mondragón nei Paesi Baschi, che vede esponenti della comunità basca attivi in diversi settori quali l’ingegneria, l’industria automobilistica, elettrodomestici, banche e assicurazioni. In val di Zoldo, la lingua e le tradizioni ladine vengono conservate dalle parrocchie e da iniziative scolastiche, ma la consapevolezza della propria identità ladina è stata ammaccata da decenni di emigrazione e trasferimenti. Nadia Scarzanella sostiene la teoria del boomerang: “Dobbiamo andare avanti e ricucire il giusto attaccamento al territorio. Solo allora potremo guardarci indietro e ricominciare a trasmettere cultura e sapere ladini”.

Antidoto allo spopolamento
A una ottantina di chilometri dalla val di Zoldo c’è la valle di Seren del Grappa, 2500 abitanti nel paese di Seren, circa 50 sparsi nelle frazioni. Qui lo spopolamento si osserva a occhio nudo: case abbandonate e bosco incolto che avanza.
Altra valle, altra iniziativa. Qui i ricercatori dell’EURAC, su invito della fondazione “Val di Seren” hanno indirizzato e accompagnato un processo di rilancio territoriale: in 18 mesi hanno fornito consulenza per 24 incontri e instradato gruppi di lavoro che ora dovranno concretizzare da soli tutte le idee fantasticate per il rilancio del turismo, dell’agricoltura e dell’artigianato. Una prospettiva appetibile potrebbe essere quella della cooperativa di comunità, che collega le realtà esistenti – dalle associazioni degli alpini alle proloco – e rende le loro azioni più efficaci. I ricercatori Federica Maino e Andrea Omizzolo sono fiduciosi: “Le iniziative come la nostra che incoraggiano la cooperazione sono preziose per contrastare lo spopolamento. Ma serve una dinamica spontanea da cui partire. È come se ci aggrappassimo a un elettrocardiogramma debole e cercassimo la frequenza giusta per defibrillare. A Seren si stanno già riprendendo”.

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