Siamo maggioranza o minoranza? La domanda, di primo acchito, sembrerebbe chiamare in causa la sociologia o la psicologia. Noi, invece, abbiamo preferito interpellare i linguisti e capire il ruolo svolto dalla lingua parlata nella formazione di questa percezione. Per questo siamo andati a parlare con Chiara Meluzzi e Ilaria Fiorentini del Centro di Competenza Lingue unibz. Le due ricercatrici hanno infatti affrontato la questione – intrisa certamente anche di risvolti psicologici e sociali – nel corso delle loro ricerche sulla comunità di lingua ladina della Val di Fassa e sugli italofoni di Bolzano.

Conoscenza delle lingue e sentimento di appartenenza a una minoranza sono due temi sempre presenti nel dibattito pubblico in Alto Adige dove vivono due minoranze linguistiche – quella tedesca e quella ladina – la cui tutela è prevista dalla Costituzione. Quanto la nostra madrelingua concorra alla percezione di far parte di una minoranza è però una problematica che non si esaurisce nello spazio tra Salorno e il Brennero. La maggior parte degli stati moderni sono infatti abitati da una miriade di minoranze nazionali, etniche e linguistiche. Gli stessi stati europei, che a uno sguardo superficiale potrebbero essere considerati piuttosto omogenei per quanto riguarda culture e lingue, in realtà sono continuamente attraversati da lingue e tradizioni diverse. Su oltre 500 milioni di abitanti dell’Unione Europea, coloro che hanno come madrelingua una lingua diversa da quella nazionale sono più di 40 milioni.

La situazione dell’Alto Adige però può rivelarsi un utile laboratorio per vedere quali sentimenti susciti la madrelingua nei parlanti che sono a contatto quotidianamente con lingue diverse. Due ricercatrici del Centro di Competenza Lingue di unibz, Chiara Meluzzi e Ilaria Fiorentini, hanno recentemente affrontato la questione grazie a due studi che hanno esplorato il grado di consapevolezza linguistica degli italofoni di Bolzano e dei ladini fassani. Ilaria Fiorentini è l’autrice dello studio intitolato Alla fine l‘è nosc esser, dedicato agli atteggiamenti nei confronti della trasmissione del ladino da parte dei ladinofoni della Val di Fassa. “L’obiettivo della mia ricerca, che si situa a metà strada tra la sociolinguistica e l’etnolinguistica, era mettere a fuoco gli atteggiamenti, positivi e negativi, dei ladini fassani rispetto alla loro lingua”, spiega Fiorentini che ha intervistato 50 persone di diverse classi di età. Durante le interviste, ognuna di loro è stata invitata a spiegare in ladino le particolarità della sua terra. “Ho voluto sapere dove avevano imparato il ladino e in quali occasioni lo usassero. Ho poi chiesto di esprimere opinioni sul futuro della loro lingua e su come viene insegnata”, aggiunge. Dalle interviste è emerso che, soprattutto i giovani, sono molto consapevoli del fatto di appartenere a una minoranza linguistica. Ciò viene però valutato positivamente e il ladino nel loro uso si trasforma in uno strumento per marcare una forte identità individuale e collettiva.

“I ladini della Val di Fassa hanno sviluppato la consapevolezza di possedere una lingua di minoranza, anzi di una minoranza assoluta”, commenta Fiorentini, “ciononostante questa diversità è vista come un valore dai giovani che usano il ladino per non farsi capire dagli altri e per cementare legami di appartenenza che si basano sulla volontà di distinguersi”. L’autrice dello studio che sottolinea quindi come questo atteggiamento positivo nei confronti della lingua di minoranza da parte soprattutto dei giovani sia un segnale molto incoraggiante per la sopravvivenza della stessa, definita come dice il titolo stesso della ricerca, “il nostro essere”. L’italiano parlato a Bolzano - con cui si è invece cimentata Chiara Meluzzi - si distingue dal caso del ladino perché è una lingua nazionale ma immersa nel contesto di una comunità che, a livello locale, può essere inquadrata come minoranza. Inoltre l’italiano parlato a Bolzano è particolare perché, a differenza di tutte le altre varietà di italiano parlate nella Penisola, risente della mancanza di un retroterra dialettale. Un punto su cui Meluzzi non è però completamente d’accordo. “In realtà a Bolzano, proprio per la variegata origine degli italofoni, ci sono tanti dialetti italiani che influiscono sul lessico e sulla pronuncia”, sostiene.

Meluzzi, che per la sua tesi di dottorato ha indagato gli aspetti fonetici della pronuncia delle “z” degli italofoni bolzanini, ha realizzato uno studio sulla percezione di italiano e tedesco da parte dei parlanti italiani a Bolzano. Per farlo, ha intervistato e registrato 42 persone di diverse età - da 18 a 93 anni - e distinte per grado di istruzione, genere e quartiere di residenza, una variabile molto importante per distinguere le diverse percezioni su italiano e tedesco. I bolzanini sono depositari di un bagaglio linguistico composito, nato in una realtà multilingue. “Hanno sviluppato un lessico tutto particolare”, rileva Meluzzi, “si pensi per esempio alla parola “brattaro”, per indicare chi vende Bratwurst e patatine nei chioschi in strada. L’utilizzo di questi termini è una marca d’identità”. Il dato più evidente della ricerca di Meluzzi è la grande consapevolezza linguistica degli abitanti di Bolzano, conseguenza della vita in un territorio in cui il confronto con una lingua diversa è la norma. Alla ricercatrice interessava anzitutto capire come i parlanti italiano si ponessero di fronte alla comprensione e all’uso del tedesco, dialetto o Hochdeutsch. “Ho riscontrato ansia di esprimersi in positivo o in negativo e, talvolta, sono emerse frustrazioni di tipo personale”, afferma Meluzzi, “tutti però avevano una acuta sensibilità verso la particolarità del loro italiano, dovuto forse al fatto di sentirsi minoranza in una regione a maggioranza germanofona”.

Anche in questo caso però, come nel caso dei ladini fassani, il sentimento di essere una strana “minoranza/maggioranza” linguistica si riflette sull’uso della lingua. “I bolzanini italiani sfruttano questo slang, con termini propri e influenze venete e trentine, per fare gruppo, per distinguersi e quasi rivendicare un’identità particolare – sia sul piano locale che nazionale - che si aggiunge alle altre presenti sul territorio”, conclude la ricercatrice.

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