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Le lingue straniere: a volte è proprio una faticaccia impararle! Ma è uno sforzo che premia perché i benefici per la salute del nostro cervello sono più di quelli che
potremmo pensare. Sul divano rosso, ne abbiamo discusso con Andrea Abel, coordinatrice dell’Istituto di Comunicazione Specialistica e Plurilinguismo dell’EURAC, e con Gerda Videsott, ricercatrice della Facoltà di Scienze delle Formazione e Membro del
Centro di Competenza Lingue unibz.

I bambini sembra che imparino le lingue senza sforzi. Si può dedurne che il gioco è più utile dei libri di grammatica?
Abel: Non lo si può affermare in questi termini. I bambini imparano con facilità ma soprattutto lo fanno in maniera diversa rispetto agli adulti. Questi hanno altre strategie di apprendimento e possono basarsi su esperienze già avvenute e conoscenze acquisite. Si dice però che imparino molto più velocemente, o no?
Abel: Non è del tutto vero: anche loro hanno bisogno di molti anni per impadronirsi di una lingua. In alcuni ambiti/per alcuni aspetti linguistici, addirittura, gli adulti sono più svelti perché procedono in maniera più strutturata. Nell’acquisizione di una lingua ci sono diversi passaggi da superare che non possono essere saltati da nessuno, bambino o adulto. Questo è importante sapere anche per chi insegna una lingua.

Quando incidono le emozioni nell’apprendimento linguistico?
Abel: Molto tant’è che la ricetta migliore per imparare una lingua è innamorarsi di una persona che la parla (ride ndr.) perché in quel caso c’è anche una motivazione intrinseca molto forte. Scherzi a parte, nello studio KOLIPSI, svolto dall’Eurac sulle competenze nella seconda lingua dei ragazzi altoatesini, abbiamo dimostrato che la motivazione intrinseca e le amicizie con persone dell’altra lingua sono tra i catalizzatori più importanti per l’apprendimento delle lingue. Inoltre, il modello dinamico del plurilinguismo - proposto dai colleghi di Innsbruck - fa riferimento all’importanza tra l’altro della motivazione dell’autostima, dell’ansia e la percezione delle proprie competenze linguistiche. Studi su bambini con background migratorio mostrano inoltre che è utile promuovere la lingua originaria della famiglia, quindi dare valore a ciò che già possiedono. È un capitale su cui è più facile costruire l’apprendimento di un’altra lingua.

Signora Videsott, i bambini imparano diversamente dagli adulti perché il loro cervello è in una fase di sviluppo?
Videsott: Si presume che i bambini utilizzino molto di più la memoria implicita mentre gli adulti quella esplicita, ovvero questi ultimi creano molte più associazioni, fanno riflessioni. Per quanto riguarda le lingue, in particolare, è interessante il fatto che il multilinguismo produce un impatto sulle strutture neurocognitive già in età infantile.

La ricerca più recente ci dice anche che imparare nuove lingue serve a mantenere il cervello più giovane.È così?
Videsott: In Canada, il gruppo di ricerca guidato da Ellen Bialystok, psicologa specializzata nel multilinguismo, ha realizzato ricerche su un campione molto vasto di pazienti affetti da Alzheimer. Osservando come queste avevano vissuto, hanno riscontrato correlazioni significative: si è visto che nelle persone bilingui, i sintomi della malattia compaiono quattro anni più tardi rispetto ai monolingui.

Perché?
Videsott: Una persona che vive tra due o più lingue deve scegliere in continuazione se usare l’uno o l’altro degli idiomi di cui è padrone, a seconda delle situazioni. Questa continua attività di scelta contribuisce a rafforzare e allenare specifiche strutture del cervello. E, nel caso delle malattie neurodegenerative, sono proprio gli areali del cervello interessati da queste funzioni i primi ad essere compromessi. In chi conosce più lingue queste strutture del cervello sono più “robuste” in termini di connessioni neuronali. Ciò porta a supporre che il multilinguismo sia un fattore preventivo contro l’insorgenza di queste malattie.

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