Il distanziamento sociale è diventato il nostro pane quotidiano e mai come in questo momento siamo stati così dipendenti dai nuovi media e dalle nuove tecnologie.
La loro adozione e diffusione ha subito una accelerazione che in tempi normali avrebbe richiesto anni per diventare realtà ed è ragionevole supporre che in molti casi non torneremo sui nostri passi. Questo cambiamento riguarderà anche le pratiche religiose?
Alcune osservazioni della filologa di Eurac Research Giulia Isetti.

Nelle settimane del primo lockdown molte pratiche e servizi religiosi tradizionali sono stati scoraggiati in quanto avrebbero potuto contribuire alla diffusione del virus. Raduni e pellegrinaggi sono stati additati in alcuni casi come focolai di trasmissione, come è accaduto tra i seguaci del culto cristiano della Chiesa di Gesù Shincheonji in Corea del Sud, a cui sono stati fatti risalire quasi 2.500 contagi. Le celebrazioni della
Pasqua sia ortodossa che cattolica ed ebraica sono state tenute a porte chiuse e il Ramadan, epoca di raduni e festeggiamenti notturni nella cultura islamica, viene celebrato per lo più privatamente.
Tuttavia per molti la religione e la fede rimangono fondamentali per far fronte alla crisi che il mondo sta affrontando e questo ha spinto i ministri religiosi a non rimanere con le mani in mano mentre i luoghi di culto erano chiusi. Le limitazioni hanno anzi costituito un incentivo a cercare modi creativi per rimanere
in contatto con la propria comunità religiosa, soprattutto in un momento in cui questa si trovava ad affrontare un momento così delicato. Quando si parla di religione e digitalizzazione spesso si pensa per lo più a messe trasmesse in diretta, ma oltre allo streaming di servizi tradizionali, il digitale offre una serie molto più ampia di possibilità, che spaziano da app che dispensano letture bibliche e preghiere
serali, fino a Mindar, il robot capace di celebrare funzioni e funerali in Giappone, passando per videogiochi a sfondo religioso, dove ai giocatori si pongono questioni morali. 
Heidi Campbell, principale studiosa del filone di studi sulla “Digital Religion”, sottolinea che l’incontro tra digitale e pratica religiosa non è senza conseguenze e l’uno finisce per condizionare ed essere condizionato dall’altra, aprendo quindi un vero e proprio vaso di Pandora. Come cambia una comunità religiosa
online rispetto a una fisica? I riti digitali sono autentici come quelli fisici? E, soprattutto, chi controlla e garantisce per i contenuti religiosi nell’anarchia del web? Non è un caso che il robot BlessU-2, che  impartisce benedizioni, sia stato lanciato in Germania per marcare il cinquecentenario dalla Riforma luterana. Per la chiesa protestante l’introduzione di nuove tecnologie rappresenta una “disruption” dei sistemi tradizionali: l’avvento della stampa è sfociato nel XVI secolo nella riforma protestante, le cui eco scossero le fondamenta del cattolicesimo stesso che, dopo il Concilio di Trento, dovette rinnovarsi, dando
vita alla cosiddetta controriforma. L’introduzione delle tecnologie digitali potrebbe dunque comportare una rivoluzione di portata simile a quella operata da Gutenberg.
Le misure volte al contenimento della diffusione del nuovo coronavirus hanno dato anche nel contesto cattolico una spinta ulteriore verso la digitalizzazione. Singole diocesi hanno dato vita, tra le altre cose, a e-pellegrinaggi, streaming online di messe e sussidi di preghiera online per adulti e bambini. Ma queste
iniziative sopravviveranno nel periodo post-Covid-19? Papa Francesco, dopo aver tenuto il primo  livestream della storia del Vaticano, sembrerebbe non pensarla così, avendo dichiarato che “la Chiesa, i sacramenti, il popolo non si possono viralizzare”. Il messaggio è chiaro: l’aumentata digitalizzazione è solo
uno strumento temporaneo da adottare durante la fase di distanziamento sociale, ma la vera Chiesa rimane quella fisica.
Tuttavia questo non deve far pensare che il cattolicesimo rifiuti il mondo digitale: già in periodo pre-Covid 19 erano migliaia, solo in Italia, i siti cattolici gestiti da parrocchie, associazioni, movimenti o anche da privati. Anche le app non scarseggiano, da Dindondan, che permette di localizzare la messa più vicina, a follow JC Go, dove i giocatori formano un team di evangelizzazione composto da amici, personaggi biblici, santi, beati e invocazioni mariane. Una delle app più scaricate rimane Laudate, che vanta su Google Play Store più di un milione di download e coinvolge gli utenti in diversi modi. Oltre a mettere a disposizione – tra le altre cose – liturgie, preghiere (anche in latino), letture del giorno, la app permette ai fedeli di
scrivere loro stessi le loro preghiere e salvarle tra i preferiti. Non manca neanche la sezione “confessione”: dove compare una check-list di peccati da confessare. Questo strumento, sottolinea la app, non vuole ovviamente essere una sostituzione della confessione, ma una specie di bilancio propedeutico alla confessione stessa, la cui esecuzione non può essere sostituita da un clic. Per quello che riguarda il lato più istituzionale, il pontefice stesso da anni è presente sui social media e il Vaticano ha diverse app al suo attivo. Un esempio è Vatican.va, che su Google Play Store registra più di 100.000 downloads e che, raccogliendo però soprattutto le attività del papa, le sue parole, video e foto, più che una app vera e propria ricorda una pagina web dove trovare delle informazioni e dei contenuti che vanno a senso unico.
Tuttavia la popolarità crescente di strumenti paralleli, come appunto Laudate, sembrerebbe indicare un bisogno da parte dei fedeli di non essere solo spettatori, ma di voler praticare la loro fede in maniera più attiva e partecipata. 

 

 

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